Christelle Taraud: il continuum femminicidario, “una macchina da guerra contro le donne”
Nominare un fenomeno significa riconoscerne l’esistenza e farne la storia. Intervista alla storica Christelle Taraud, che racconta la nascita di un concetto, il “femmicidio”, che si è diffuso, sovrapposto e confuso con un altro, il “femminicidio”. La storia di una parola nata, a Bruxelles negli anni Settanta, passata attraverso gli omicidi di donne in Messico negli anni Ottanta e ritornata a noi con il #MeToo.
hristelle Taraud, storica e femminista francese, fa parte del Centro di storia del XIX secolo dell’Università Sorbona di Parigi. Specializzata in questioni di genere e sessualità nelle zone coloniali, Taraud è curatrice di imponente opera uscita nel 2022, Féminicides. Une histoire mondiale (“Feminicidi. Una storia mondiale”, La Découverte).
Il termine “femminicidio” è ormai di uso comune. Come definirlo?
Christelle Taraud: Definirei il femminicidio come “l’uccisione di una donna perché donna”. Possiamo far risalire il termine al 1976, momento in cui attiviste e ricercatrici femministe di una quarantina di paesi si sono riunite a Bruxelles per il primo Tribunale internazionale per i crimini contro le donne. In questa Diana Russell, sociologa sudafricana ma residente negli Stati Uniti ha, insieme ad altre, coniato il termine di “femmicidio”: Russel lo usa per definire l’uccisione di una donna in quanto tale. Non tutti gli omicidi di donne sono femmicidi: perché di questo si tratti, ci deve essere una matrice “patriarcale”. Secondo Russell, questo crimine d’odio è, infatti, la punta dell’iceberg di un vasto sistema di annientamento delle donne, definibile come un sistema patriarcale globale, che assume forme diverse a seconda del periodo storico, del contesto e della società.