Qual è l’impronta carbonio delle navi europee?
Un nuovo studio quantifica, per la prima volta, i volumi di gas serra delle compagnie navali europee. Le flotte europee non sono infatti soggette ad alcun obbligo di riduzione delle emissioni, nonostante siano tra le aziende più inquinanti.
Qual è l’impronta carbonio delle navi europee?
Un nuovo studio quantifica, per la prima volta, i volumi di gas serra delle compagnie navali europee. Le flotte europee non sono infatti soggette ad alcun obbligo di riduzione delle emissioni, nonostante siano tra le aziende più inquinanti.
Nel 2018 il trasporto marittimo europeo, merci e passeggeri insieme, ha riversato nell’atmosfera circa 139 milioni di tonnellate di CO2. Una quantità superiore a quella del trasporto automobilistico. L’italo-svizzera Mediterranean Shipping Company (MSC) è la campionessa marittima del cambiamento climatico nell’Ue. Le sue 362 più grandi navi-cargo emettono 11 milioni di tonnellate di CO2 (il più diffuso gas a effetto serra), una quantità pari a quella emessa da 5,5 milioni di auto, più di qualsiasi altra società navale europea.
La seconda più grande compagnia porta-container al mondo si aggiudica così l’ottavo posto nella Top 10 dei maggiori inquinatori d’Europa. La MSC gareggia in pole position con le peggiori centrali termo-elettriche a carbone e sovrasta Ryanair che si colloca al decimo posto. Contrariamente a quanto previsto per gli impianti di produzione energetica, l’Ue non obbliga tuttavia MSC e le altre compagnie navali (come neanche quelle aeree) a ridurre le loro emissioni, indebolendo di fatto i propri sforzi per contrastare il riscaldamento globale.
A quantificare per la prima volta le emissioni di CO2 delle flotte europee è il rapporto dell’ONG Transport & Environment, pubblicato il 6 dicembre. L’analisi si basa sui dati che, a partire dal 2019, le società di navigazione devono comunicare all’Ue. Il regolamento adottato nel 2015 impone loro di monitorare e pubblicare ogni anno i consumi di carburante e i volumi di CO2 per l’insieme delle tratte effettuate sia all’interno dello Spazio economico europeo (Ue più Islanda e Norvegia) sia tra questo e i porti dei paesi d’oltre-oceano. Questo obbligo copre tutte le imbarcazioni con una stazza lorda superiore alle 5.000 tonnellate. Lo studio di Transport & Environment prende in considerazione le informazioni fornite dalle compagnie navali nel 2018, ossia il più recente anno di riferimento.
Rispetto alla media dei passeggeri stradali, quelli che s’imbarcano sulle navi da viaggio sporcano l’aria fino a 5 volte in più. E addirittura 6 volte in più se si considerano i più stringenti standard ambientali che si applicheranno alle vetture dal 2021 in poi. Tuttavia, la stragrande maggioranza della CO2 (oltre l’80 per cento) è riversata dal trasporto di container merci. Questo, sviluppatosi nei primi anni ’50, è più che triplicato dal 2000, incrementando le sue emissioni nell’Ue di 26 milioni di tonnellate (il 19 per cento in più) dal 1990 a oggi.
A primeggiare nel mercato mondiale dei container, nonché nell’inquinamento atmosferico nel Vecchio Continente, sono appunto le società europee. Le prime quattro (oltre a MSC, ci sono Maersk, CMA e CGM) totalizzano la metà delle emissioni complessive del settore cargo, il cui 42 per cento è imputabile al trasporto di beni di consumo. Per farci recapitare via mare smartphone e TV, automobili, vestiti, frutta e cibi surgelati, medicine, mobili e altri articoli di uso quotidiano, contribuiamo annualmente a un rilascio di quasi 60 milioni di tonnellate di CO2. Si tratta di un volume pari alle emissioni dei 38 milioni di autovetture in circolazione in Italia.
Il trasporto di carburanti (petrolio, carbone, gas) e di materie prime per l’industria contribuiscono invece al 20 per cento della CO2 marittima dell’Ue. La metà delle flotte cargo europee ha messo 22 milioni di tonnellate in più a causa del divario di prestazione ambientale tra le operazioni in mare e gli standard di progettazione delle imbarcazioni.
Una serie di asimmetrie legislative fanno si che il trasporto navale remi contro la lotta al cambiamento climatico. Da una parte, l’Ue concede al settore 24 miliardi di euro all’anno in agevolazioni fiscali per i combustibili fossili. Dall’altra non lo ha ancora inserito nel sistema di scambio di quote di emissioni (EU ETS), in base al quale le aziende altamente inquinanti devono rispettare determinati tetti di CO2. Ciascun operatore ha due modi per rimanere entro la soglia massima: o taglia le proprie emissioni in eccesso investendo in tecnologie ed energie più pulite oppure le compensa comprando crediti (o permessi di inquinare) corrispondenti ai quantitativi di CO2 tagliati da altri operatori. Le compagnie navali europee, attualmente, non devono adottare né l’una né l’altra opzione, potendo quindi continuare a inquinare a costo zero e non avendo alcun incentivo a passare a carburanti e motori ecologici.
Per oltre 20 anni, l’Ue ha tentato inutilmente di assoggettarle all’EU ETS, negoziando in seno all’Organizzazione Marittima Internazionale l’estensione di un sistema simile a tutto il mondo per evitare di penalizzare le proprie flotte rispetto alla concorrenza estera. Lo stesso Protocollo di Kyoto sul cambiamento climatico, firmato nel ’97, chiedeva di trovare una soluzione per il trasporto marittimo. Nel 2018 si è giunti a un accordo su un piano d’azione globale che, però, non si è ancora tradotto in azioni concrete. Il neo-presidente eletto della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato di voler rimediare. Tutto da vedere.
https://voxeurop.eu/it/2019/trasporto-marittimo-e-riscaldamento-globale-5124110