Pubblico impiego in Europa: è davvero così inefficiente?
“Ipertrofica”, “mal gestita”, “pletorica”, “troppo costosa”: quando si parla di luoghi comuni e pregiudizi sulla pubblica amministrazione tutto il mondo è paese. Tuttavia, utilizzando nuovi indici, la realtà appare più complessa.
Pubblico impiego in Europa: è davvero così inefficiente?
“Ipertrofica”, “mal gestita”, “pletorica”, “troppo costosa”: quando si parla di luoghi comuni e pregiudizi sulla pubblica amministrazione tutto il mondo è paese. Tuttavia, utilizzando nuovi indici, la realtà appare più complessa.
Troppi dipendenti pubblici! Questo il ritornello che si sente ripetere, a ogni piè sospinto, nell’agenda politica. In Francia per esempio, i dipendenti pubblici hanno manifestato il 22 marzo scorso contro la riforma della pubblica amministrazione voluta dal governo. Per quanto riguarda il resto d’Europa, i liberisti da sempre lamentano il numero degli occupati nel pubblico impiego, considerato eccessivo. Dunque qual è il peso dell’amministrazione pubblica nei diversi paesi europei?
“I paragoni tra gli stati membri in materia di pubblica amministrazione sono delicati», osserva una nota chiarificatrice dell’istituto di ricerca France Stratégie in merito alla questione. In esame: la differenza dell’area del settore pubblico tra i diversi paesi. Utilizzando diversi parametri, risulta possibile redigere e stabilire un quadro abbastanza completo. Il primo, il più semplice, consiste nel rapportare il numero dei dipendenti pubblici, in senso stretto, al numero di abitanti. Si possono osservare così delle differenze notevoli.
Un altro modo per misurare il peso del settore pubblico è quello di osservare il costo dei salari degli impiegati nella pubblica amministrazione in rapporto alla ricchezza nazionale. Si tratta di un indicatore coerente con il tasso di occupazione nel settore.
Ma questi indicatori non permettono di tener conto del diverso peso del settore pubblico nei diversi paesi. Se in un paese, per esempio, i funzionari pubblici hanno in mano la gestione del sistema previdenziale o di quello sanitario, è normale che siano più numerosi rispetto a quelli di paesi in cui i suddetti servizi sono lasciati al settore privato; anche il peso totale delle retribuzioni nel primo caso sarà maggiore.
Per correggere queste differenze di “quantità” e cercare di valutare al meglio la retribuzione dei dipendenti pubblici, sono disponibili diversi indicatori. Il primo si riferisce al rapporto tra la retribuzione dei dipendenti pubblici e il Pil pro-capite. Questo indice mette in evidenza i paesi ove i dipendenti pubblici risultano essere pagati meno rispetto al resto della popolazione (in particolare i paesi scandinavi e la Gran Bretagna) e i paesi ove i dipendenti pubblici stanno decisamente meglio (principalmente i paesi dell’Europa meridionale).
Sempre per quanto riguarda i salari, sono possibili altri paragoni tra i paesi. Per esempio i dipendenti pubblici statunitensi e belgi risultano più avvantaggiati rispetto ai loro omologhi svedesi e britannici (i dati del Lussemburgo e dell’Irlanda sono spesso fuorvianti a causa di un sistema fiscale particolarmente vantaggioso).
E per quanto riguarda il numero dei dipendenti pubblici? Anche qui, è fondamentale valutare correttamente i diversi ambiti di azione dell’amministrazione pubblica: in alcuni paesi il sistema previdenziale e quello sanitario sono affidati ai privati, in altri sono gestiti dall’amministrazione pubblica.
Ma vi è un secondo ostacolo a un confronto corretto: l’esternalizzazione dei servizi. L’amministrazione pubblica in effetti può controllare alcuni settori ma esternalizzarne la gestione: in questo caso il numero dei dipendenti del pubblico viene artificialmente sgonfiato. La Germania per esempio spende quanto la Francia per la sanità, pur avendo molti meno dipendenti nel settore. Ciò si spiega con il fatto che il personale sanitario in Germania è generalmente retribuito dalla pubblica amministrazione ma attraverso contratti privati. In generale, la Francia, che conta numerosi dipendenti pubblici, esternalizza pochissimo, contrariamente alla Germania, alla Danimarca o alla Finlandia.
Infine subentra un terzo ostacolo: quello di alcuni benefici o vantaggi sociali, quali i rimborsi delle visite presso medici privati o i sussidi per la casa. Queste prestazioni sociali sono particolarmente importanti nei Paesi Bassi per esempio, un paese che ha pochi dipendenti pubblici. “Qui i canali di finanziamento della sanità assimilano questi servizi commerciali a dei ‘servizi pubblici’, anche se lo Stato non compare come il datore di lavoro principale” scrive France Stratégie.
In conclusione cosa possiamo dire? Grazie ai dati dell’Ocse e ai calcoli di France Stratégie, è possibile arrivare a un ulteriore indicatore: il tasso di occupazione nei servizi cosiddetti “amministrati”, ovvero l’insieme dei dipendenti dell’amministrazione pubblica e coloro che, nel privato, svolgono servizi di pubblica utilità.
Da questo punto di vista la Norvegia resta il paese con il maggior numero di posti di lavoro nei servizi di pubblica utilità, mentre l’Italia è il paese più sotto-amministrato. Ma lo scarto (2,44 volte) è inferiore rispetto al tasso di occupazione nel settore pubblico.
Ciò che vale per il pubblico impiego vale anche per la spesa pubblica: i confronti internazionali sono complicati perché bisogna considerare le differenze tra paesi per quanto riguarda l’estensione dell’area di intervento.
È importante distinguere l’amministrazione (l’importanza del pubblico impiego) e la socializzazione (l’importanza di ciò che viene messo a disposizione della collettività). “Anche se la Francia e il Canada hanno un livello di amministrazione simile, l’incidenza della spesa pubblica rispetto al Pil differisce di più di 12 punti”, specificano gli autori dello studio. Ciò si spiega con il fatto che le prestazioni sociali in Francia sono maggiori.
Prima di gridare contro gli sprechi e la malagestione occorre quindi valutare diversi indicatori. Ecco perché gli autori dello studio concludono con questa riflessione: “Molte delle differenze emerse in merito al pubblico impiego sono dovute, di fatto, a scelte di gestione piuttosto che a un diversa qualità nelle prestazioni”.