Propaganda social, speso oltre mezzo milione per le europee
Partiti e candidati spendono sempre più soldi in inserzioni politiche online. Il tema ormai non si può più ignorare, ma il parlamento continua a non intervenire.
Il ruolo di internet e dei social nelle ultime tornate elettorali è stato costantemente in crescita. Una variabile ormai sempre più determinante, che purtroppo però non vede un adeguamento delle normative nazionali in materia.
È il caso per esempio dell’Italia, in cui le norme attualmente in essere per la normale propaganda elettorale non sono ancora state estese alle inserzioni politiche online, specialmente sui social. Un problema che non si può più ignorare. Grazie alle operazioni di autoregolamentazione messe in campo da Facebook, Google e Twitter per le recenti elezioni è possibile analizzare alcuni dati, seppur parziali, del fenomeno. Il primo è quello della grandezza economica della questione.
Durante la campagna elettorale per le elezioni europee 2019 – considerando solamente i profili dei principali partiti nazionali, dei loro leader, e dei loro capolista – sono stati spesi oltre €660.000. Tanti soldi, prova del fatto che ormai il parlamento non può più ignorare la questione.
Le iniziative della commissione europee
Ad aprile dello scorso anno la commissione europea era intervenuta per cercare di arrivare alle elezioni europee preparata. Nella comunicazione al parlamento europeo “Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo ” aveva tentato di affrontare in maniera diretta il tema delle pubblicità online, richiedendo alle piattaforme digitali e all’industria pubblicitaria di conseguire, tra gli altri, i seguenti obiettivi:
- migliorare significativamente il vaglio delle inserzioni pubblicitarie;
- garantire trasparenza circa i contenuti sponsorizzati, in particolare per quanto riguarda i messaggi pubblicitari di natura politica e le campagne di sensibilizzazione;
- la realizzazione di un archivio;
- intensificare e dimostrare l’efficacia degli sforzi impiegati per chiudere i profili falsi;
- offrire alle organizzazioni e al mondo accademico accesso alle piattaforme di dati (in particolare tramite interfacce per programmi applicativi).
Proprio per questo motivo i 3 principali attori (Facebook, Google e Twitter) hanno messo online degli archivi delle inserzioni politiche. Soluzioni che abbiamo recentemente recensito e che, per quanto a tratti positive, rappresentano comunque soluzioni parziali.
Le spese per le europee 2019
Attraverso l’analisi dei dati messi a disposizione però possiamo iniziare a quantificare la portata del fenomeno. Sottolineiamo che nessun partito italiano, o candidato, ha eseguito ufficialmente la procedura di accreditamento per effettuare inserzioni su Twitter. Una considerazione che indica una di due alternative: o che il social in questione ha un ruolo minore nelle dinamiche politiche del nostro paese, o che alcuni politici sono riusciti a fare inserzioni senza seguire l’iter predisposto.
Abbiamo quindi analizzato le inserzioni su Facebook e Google dei profili ufficiali dei principali partiti italiani (Lega, Movimento 5 stelle, Partito democratico, Forza Italia, Fratelli d’Italia e +Europa), dei loro leader nazionali e dei loro candidati capolista. Da marzo al giorno del voto sono stati spesi oltre €660 mila euro: 568 su Facebook e 92 su Google.
Sul podio dei profili che hanno speso di più abbiamo quello del Partito democratico (164mila euro), quello di Matteo Salvini (128mila) e infine quello di Silvio Berlusconi (93mila). Un dato che oltre alla grandezza economica, ci racconta anche delle diverse strategie comunicative utilizzate. Mentre il movimento di centrosinistra ha puntato sul brand del partito, e sul finanziare quindi inserzioni dal profilo del Partito democratico, gli schieramenti del centrodestra hanno invece incentrato le campagne sulle personalità dei due leader di Lega e Forza Italia.
Nel grafico: spesa per inserzioni politiche su facebook e google
Raggruppando i dati dei singoli partiti, quello che ha speso di più è stato il Partito democratico. Lo schieramento di centrosinistra, considerando il profilo del partito, del segretario e dei vari capolista, ha speso in totale €197.893. Abbiamo poi la Lega (€152mila) e infine Forza Italia (€142mila). Da notare come il Movimento 5 stelle sia stato il partito, tra quelli più grandi, che ha investito meno attraverso i canali ufficiali in sponsorizzazioni su Facebook e Google: solamente 50 mila euro.
Nel grafico: soldi spesi su google e facebook in inserzioni pubblicitarie a scopo politico
Di cosa stiamo parlando e come (non) è regolamentata la materia in Italia
In Italia c’è un importante gap normativo da riempire. Sia la legge 515 del 1993, che regola lo svolgimento delle campagne elettorali, che la 212 del 1956, che invece norma in concreto le propagande elettorali, non sono ancora state integrate ed adattate al largo utilizzo che la classe politica fa dei social e degli strumenti di comunicazione online. I problemi sono di vario genere, ma i principali sembrano essere:
- nella scheda di rendicontazione spese che bisogna consegnare alla fine di ogni campagna elettorale non vi è l’obbligo di includere le spese per la propaganda online;
- a differenza di quanto avviene per i manifesti elettorali, nelle pubblicità online non vi è l’obbligo di comunicare il mandatario (colui che finanzia l’inserzione);
- l’obbligo di silenzio elettorale, che vige dal giorno precedente del voto, non ha applicazione, almeno in maniera chiara, per internet.
Come conseguenza le informazioni disponibili sulla propaganda elettorale svolta su internet, ed in particolare sui social network, sono poche e soprattutto non strutturate in un modo che permetta un pieno monitoraggio della materia.
Questo è un problema perché mentre tutti vediamo gli stessi manifesti, parlando della tradizionale propaganda elettorale, ogni singolo utente su internet vede contenuti pubblicitari differenti, e questo ovviamente ha delle implicazioni che non si possono ignorare.
Perché deve intervenire il parlamento
Le informazioni che abbiamo analizzato sono state rese disponibili dalle piattaforme che offrono servizi di online advertising su iniziativa autonoma. Le soluzioni messe in campo, in vista del voto che si è svolto a fine maggio, sono strumenti di autoregolamentazione creati su invito della commissione europea. Questo ovviamente limita la capacità di analizzare pienamente il fenomeno, soprattutto perché non tutte le piattaforme rilasciano lo stesso tipo di informazioni. Non solo, i dati più critici, come i parametri di comportamento su internet scelti dagli inserzionisti non sono messi a disposizione. Per intenderci, le nostre azioni su internet, come per esempio le pagine che seguiamo su Facebook e i like che mettiamo, contribuiscono ad una nostra profilazione. Informazioni di comportamento che se di natura politica diventano particolarmente sensibili. Questa profilazione poi viene utilizzata dalle piattaforme, e quindi dagli inserzionisti, per raggiungere un determinato pubblico.
Ad oggi è possibile sapere le caratteristiche demografiche generali (età, sesso, ecc.) del pubblico che ha visualizzato un determinato contenuto, ma non quelle informazioni di comportamento che rendono la materia così sensibile. Oltre che per questo motivo poi è necessario un intervento del parlamento per far sì che siano gli organi politici predisposti a decidere le informazioni da rendere pubbliche, e non aziende private.
European datajournalism network, i dati nel resto dell’Europa
Il tema della propaganda social è critico in tutti i paesi dell’Unione europea. Altre realtà all’interno dell’European datajournalism network , la piattaforma per le notizie data-driven sugli affari europei in 12 lingue di cui openpolis fa parte, hanno analizzato i dati delle pubblicità politiche online nei loro rispettivi paesi di appartenenza. Per chi fosse interessato consigliamo quindi di leggere i contributi dei nostri colleghi di Spiegel per la Germania e di Addendum per l’Austria.