Pensionati senza pace
Mentre l'età pensionabile continua a crescere e i fondi pensione bruciano risparmi di una vita, sempre più pensionati in Croazia cadono nella povertà e sono costretti a tornare a lavorare. Una situazione non troppo diversa da quella di altri paesi europei.
Pensionati senza pace
Mentre l’età pensionabile continua a crescere e i fondi pensione bruciano risparmi di una vita, sempre più pensionati in Croazia cadono nella povertà e sono costretti a tornare a lavorare. Una situazione non troppo diversa da quella di altri paesi europei.
La maggior parte dei pensionati in Croazia riceve la pensione standard, che nel mese di luglio è stata di 2.228 kune (300 euro). Molti però ricevono una pensione al di sotto di 1.000 kune: se consideriamo anche gli anziani che ricevono assegni compresi tra i due importi citati, troviamo 586.613 persone con un reddito inferiore alla pensione standard – si tratta del 55,31 per cento dei pensionati. L’idea della pensione come approdo sicuro e fase di tranquillità è ben lontana dalla realtà.
Il sistema pensionistico croato ha diversi problemi: dall’inizio del 2019, la procedura per richiedere una pensione di anzianità è diventata più complicata, e allo stesso tempo il pensionamento anticipato viene sempre più penalizzato. È il grande dilemma del sistema croato, che cerca di trovare la “formula giusta” da trent’anni.
In base al sistema pensionistico previsto dalla legge, tutti i nati dopo il 1963 sono obbligati a lavorare fino a 65 anni, eccezion fatta per coloro che hanno già completato 41 anni di lavoro. Tutti i nati dopo il 1966 devono invece lavorare fino a 67 anni, a meno che non lavorino già da 41 anni.
Considerando i problemi odierni (difficoltà a trovare e mantenere un’occupazione, lavoro precario in aumento e contratti di lavoro atipici, soprattutto per i giovani), sarà sempre più difficile raggiungere 41 anni di lavoro prima dei 67 anni d’età. Raggiungere questo obiettivo sembra un sogno per la maggior parte delle persone.
Chi sceglie o ha la necessità di richiedere una pensione anticipata sarà punito dal governo: l’importo delle pensioni di anzianità sarà ridotto in modo costante dello 0,3 per cento per ciascun mese precedente il pensionamento, ossia del 3,6 per cento annuo e fino al 18 per cento nei cinque anni prima dell’età di pensionamento prevista dalla legge. La riduzione è permanente e non dipende dalla lunghezza del periodo qualificante completato.
L’iniziativa “67 è troppo” e l’azione civica per il cambiamento
I cittadini stanno organizzando proteste in risposta a questi problemi. Il malcontento emerge ad esempio nel sostegno che sta raccogliendo la campagna “67 è troppo” lanciata quest’anno. L’iniziativa chiede che una persona assicurata abbia diritto a una pensione di anzianità al raggiungimento dei 65 anni, come avveniva prima della riforma delle pensioni, e che vengano rimosse le penalizzazioni per le pensioni di anzianità anticipate. Inoltre, si chiede la fine delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori più anziani e maggiori opportunità di lavoro per tutti gli over 65 che le desiderino.
L’iniziativa ha raccolto più di 740mila firme: un numero sufficiente per indire un referendum sull’età di pensionamento e sulla riduzione delle penalizzazioni in caso di pensionamento anticipato. Se dovesse avere un esito positivo, il referendum riporterebbe l’età pensionabile a 65 anni, abolendo il piano di innalzamento a 67. Inoltre, ridurrebbe le sanzioni sulle pensioni di anzianità anticipate, che scenderebbero dallo 0,3 per cento per ogni mese prima dell’età pensionabile allo 0,2 per cento. Il prepensionamento comporterebbe una decurtazione massima dell’assegno del 12 per cento invece che del 18, nel caso di ritiro dal lavoro cinque anni prima della data prevista.
Tuttavia, l’iniziativa non tocca una questione importante: la privatizzazione del sistema di assicurazione pensionistica, o più precisamente il cosiddetto secondo pilastro delle pensioni. Questo schema, proposto dalla Banca mondiale, è stato introdotto nel corso degli anni Novanta come modello per i paesi in transizione. Il modello è stato applicato da tutti gli ex paesi socialisti, ad eccezione della Cechia e della Slovenia, che lo adottano su base volontaria. Dopo che il modello si è rivelato dannoso per la sostenibilità delle pensioni e delle finanze pubbliche, Ungheria, Polonia e Slovacchia hanno deciso di abolirlo, mentre la Croazia non ha in programma di farlo per il momento.
L’unione dei pensionati croati ha evidenziato il fatto che assegnare più fondi al secondo pilastro provoca una riduzione del primo pilastro, quello cioè basato sulla solidarietà intergenerazionale. I fondi pensione investono utilizzando il secondo pilastro, al fine di far crescere il proprio valore – anche se la realtà è diversa dalla teoria.
Gran parte del problema con il secondo pilastro è che i fondi pensione sono stati investiti in imprese rischiose. Il caso del fallimento della ditta Agrokor, nelle cui azioni era investita la maggior parte dei fondi pensione croati, mostra quanto fossero mal gestiti gli investimenti. I pensionati hanno ora “libertà di scelta” tra i fondi pensione obbligatori che comprendono il primo e il secondo pilastro, e la pensione fondata sulla solidarietà intergenerazionale. Nei primi quattro mesi di quest’anno, il 41,5 per cento dei nuovi pensionati ha scelto la seconda opzione, percentuale che in agosto ha raggiunto il 60,8 per cento.
Il primo ministro Plenković pochi giorni fa ha dichiarato che il governo accetterà tutte le richieste avanzate dall’iniziativa “67 è troppo”. Ma i sindacati non cedono sul fronte del referendum: hanno fatto tesoro della loro esperienza del 2010 , quando rinunciarono a un referendum sulla legge sul lavoro pur avendo raccolto 810mila firme.
Pensionati costretti a lavorare
Superata l’età pensionabile, il livello molto basso delle pensioni rende difficile la sopravvivenza. Il dato più emblematico è il livello medio delle pensioni in percentuale sul salario netto mensile medio. Nel 1990, la percentuale era del 77,23 per cento; dopo la guerra, era scesa al 45,88 per cento; oggi è solo al 37,7 per cento.
Dal 2004 in Croazia è possibile lavorare part-time dopo il pensionamento, ma questa opzione è disponibile solo per chi ha maturato il diritto a una pensione di anzianità, quindi per gli uomini di età superiore a 65 anni e per le donne sopra i 62 anni. Dall’inizio del 2019, è consentito a chiunque lavorare dopo il pensionamento, inclusi coloro che ricevono pensioni di anzianità anticipate, i dipendenti militari attivi in pensione, i funzionari di polizia e altri funzionari.
Secondo le ultime informazioni dell’Istituto di previdenza sociale croato, ci sono attualmente 11.558 pensionati che lavorano, di cui 6.931 uomini e 4.627 donne. Il dato che evidenzia di più l’aumento dei pensionati che tornano a lavorare è il tasso di occupazione media (la media del 2019 è calcolata sui dati raccolti fino alla fine di luglio): dal 2017 al 2018 vi è stato un lieve aumento, mentre nel 2019 il dato è raddoppiato.
I pensionati in Croazia lavorano principalmente in ambito tecnico e in attività professionali, oltre che nei servizi sanitari e nel commercio. Prima della stagione estiva appena trascorsa, si sono susseguiti annunci di lavoro in cerca di lavoratori stagionali pensionati. Uno di questi era particolarmente originale: la catena di supermercati Spar proponeva ai pensionati un lavoro part-time con due giorni liberi, pasti caldi, spese di viaggio incluse e il pagamento nella prima settimana del mese. Si offriva anche “tempo libero per nuotare e prendere il sole” con un asciugamano e una crema solare in omaggio.
Prima della stagione estiva, l’ex ministro del Lavoro e della Previdenza sociale Marko Pavić aveva fatto una dichiarazione rivelatrice : secondo lui, sempre più pensionati lavoravano perché desideravano socializzare, non perché non avevano abbastanza soldi per vivere dignitosamente. Naturalmente c’è qualcosa di vero nella sua affermazione, ma resta il fatto che il 50 per cento dei pensionati croati vive sulla soglia della povertà e per loro l’unica possibilità è continuare a lavorare.
Prospettiva europea e confronti
Nel marzo di quest’anno, il parlamento slovacco ha stabilito che l’età pensionabile deve essere limitata a 64 anni. La decisione è stata presa per rispondere all’iniziativa dei sindacati, che stavano promuovendo un referendum con la stessa richiesta. Croazia e Bulgaria sono gli unici stati membri dell’Unione europea che hanno aumentato l’età pensionabile a 67 anni, benché registrino un’aspettativa di vita inferiore rispetto alla media comunitaria.
Nel corso degli ultimi due anni, Polonia e Cechia hanno abbandonato il piano di aumentare l’età pensionabile oltre i 65 anni, seguite dalla Slovacchia. Fino a poco tempo fa, l’età pensionabile in Slovacchia era 62 anni, ma dall’inizio del 2017 aveva cominciato ad aumentare in proporzione alla speranza di vita, spianando la strada a un aumento illimitato dell’età pensionabile. Quest’anno l’età per andare in pensione in Slovacchia è 62,5 anni, ma in base alle proiezioni entro il 2030 sarà raggiunto il limite di 64 anni.
Un sondaggio realizzato quest’anno da ING Bank mostra che la preoccupazione di non avere abbastanza denaro dopo il pensionamento sembra essere più presente nei paesi europei dove la coesione sociale è maggiore. Sono state intervistate 15mila persone, di cui 2.700 già in pensione. Il risultato più saliente è che la maggior parte delle persone sostengono che le loro pensioni non sono sufficienti per mantenere un tenore di vita dignitoso.
Le donne si preoccupano molto di più (66 per cento) rispetto agli uomini (56 per cento). I più preoccupati sono spagnoli e francesi: due terzi di loro pensano di non avere abbastanza denaro. Negli Stati Uniti, la “fortezza del capitalismo”, il 62 per cento degli intervistati pensa di non riuscire a risparmiare sufficiente denaro per quando sarà in pensione. Circa la metà dei pensionati in Europa afferma di non godere dello stesso tenore di vita che aveva durante il periodo di attività lavorativa.
Dall’altra parte, la metà dei lavoratori cechi si aspetta di mantenere lo stesso standard di vita durante la pensione. Questo perché la maggior parte dei cechi prevede di continuare a guadagnare dopo il pensionamento: il 63 per cento degli intervistati pensa di lavorare durante il periodo della pensione, contro il 54 per cento di tutti gli altri europei.
La Danimarca e i Paesi Bassi stanno progettando modifiche per i propri sistemi pensionistici nel 2020, quando l’età pensionabile raggiungerà i 67 anni. Le condizioni più restrittive si trovano in Irlanda, attualmente “una terra promessa” per i croati: qui, l’età pensionabile è attualmente fissata a 66 anni e dovrebbe aumentare fino a 68 entro il 2028. Ma molti cittadini si probabilmente opporranno a questa riforma. C’è ancora bisogno di lottare per una pensione tranquilla.
https://www.h-alter.org/vijesti/bez-mira-u-mirovini