Migrare per avere figli
Ogni anno migliaia di europei si recano all’estero per sottoporsi a terapie per la fertilità. Un fenomeno diffuso e poco conosciuto, su cui influiscono molti fattori: dalle leggi nazionali allo stile di vita. In meno di 20 anni le cliniche specializzate in Europa sono aumentate del 165%.
Migrare per avere figli
Ogni anno migliaia di europei si recano all’estero per sottoporsi a terapie per la fertilità. Un fenomeno diffuso e poco conosciuto, su cui influiscono molti fattori: dalle leggi nazionali allo stile di vita. In meno di 20 anni le cliniche specializzate in Europa sono aumentate del 165%.
Nel 2015, Karole Di Tommaso e Alessia Arcolaci hanno deciso di avere figli. Per farlo, però, hanno dovuto superare un ostacolo non indifferente: la legge italiana vieta a una coppia dello stesso sesso di avere figli, legalmente, nel loro paese.
Dopo aver studiato le diverse possibilità offerte in altri paesi europei, la coppia ha scelto una clinica di Barcellona. La decisione è stata motivata dalla vicinanza geografica e culturale, ma anche dalle spese. Dopo 4 cicli di trattamento, nel 2016 Arcolaci finalmente ha partorito il suo bambino.
Ogni anno centinaia di europei vanno all’estero per usufruire delle tecniche di procreazione assistita (Assisted Reproductive Technologies, Art nell’acronimo inglese). Gli esperti parlano di “procreazione medico-assistita transfrontaliera” (Cbrc, cross-border reproductive care), un flusso migratorio di singoli individui o di coppie desiderose di sottoporsi alle terapie per la procreazione assistita in un paese diverso da quello d’origine.
Nel corso di un’indagine durata due mesi, il fenomeno è stato analizzato per fare il punto della situazione a capire quanto ancora resta da scoprire. Secondo la Società europea di embriologia e riproduzione umana (Eshre, European Society of Human Reproduction and Embryology), che da oltre vent’anni si occupa di procreazione assistita nel 2014 – l’anno a cui risalgono i dati più completi – in Europa si sono effettuati 776.556 cicli terapeutici: il 13,1% in più rispetto all’anno precedente.
Si dice che le tecniche per la procreazione medicalmente assistita siano particolarmente diffuse nel vecchio continente e, in effetti, i dati lo confermano. Gli europei, rappresentano il 50 per cento di coloro che, nel mondo, si sottopongono a terapie di questo tipo.
Altro dato importante è il numero di cliniche specializzate in tecniche per la riproduzione assistita. I centri censiti sono passati da 482 nel 1997 a 1279 nel 2014, con un aumento del 165%.
Gli esperti credono che questa diffusione sia in buona parte dovuta ai progressi tecnologici, che rendono possibile per esempio conservare i gameti da usare in futuro, e dal numero in crescita di coppie omosessuali che sperano di avere figli. Contano molto inoltre anche i bassi tassi di fertilità e altri fattori legati allo stile di vita.
Tuttavia l’accesso alle terapie di procreazione assistita in Europa varia in modo significativo da paese a paese.
I dati evidenziano che piccoli paesi come Belgio, Repubblica Ceca e Danimarca hanno i più alti tassi di terapie per la procreazione rispetto alla popolazione. In assoluto invece i tre paesi più attivi sono Spagna, Russia e Francia.
In Spagna è stata eseguita la cifra record di ben 109.257 cicli terapeutici. La Russia si colloca al secondo posto, con 94.985 cicli, e la Francia al terzo con 90.434.
Ma c’è molto di più.
Al momento i ricercatori non sono in grado di produrre un database completo per nazionalità degli europei che cercano di sottoporsi a queste terapie all’estero. Lo confermano Eurostat, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), la Società europea di embriologia e riproduzione umana (Eshre) e numerosi esperti e autorità degli stati facenti parte dell’Unione europea (UE).
Inoltre le autorità sanitarie dei 28 stati membri dell’Ue non hanno condiviso i dati in loro possesso. Molti non hanno risposto alle ripetute richieste di informazioni. Soltanto due paesi, Slovenia e Bulgaria, hanno condiviso i dati sulla cittadinanza dei pazienti che arrivano da loro per sottoporsi a cure per la fertilità.
Secondo le autorità di Lubiana, nel 2014 alla maggior parte dei cicli di Fivet/Icsi (Fecondazione in vitro e Iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo) si sono sottoposti persone di nazionalità slovena. Tuttavia, c’era anche un gruppo di persone di altre nazionalità, provenienti dalla Croazia (67 pazienti), dalla Bosnia ed Erzegovina (51), dalla Serbia (29), dall’Italia (14), dal Montenegro (5) e da altri paesi (16).
I dati presentati dai bulgari sono ancora meno illuminanti.
Poiché gli individui e le coppie che si sottopongono alle terapie di procreazione assistita devono condividere le loro informazioni biografiche, non è chiaro perché questi paesi omettano di fornirne i dati. D’altro canto, dai sondaggi condotti negli ultimi dieci anni emerge che il fenomeno migratorio in questo ambito non è insignificante.
Nel solo 2014, il Consorzio Eim per il monitoriaggio sulle tecniche di riproduzione assistita ha registrato 17.160 cicli terapeutici per pazienti transfrontalieri, si legge nel rapporto 2018 dell’organizzazione.
Questa cifra, tuttavia, si basa sui dati forniti solo da 15 dei 39 paesi considerati, e non comprende quelli con le più alte percentuali di terapie di procreazione medicalmente assitita come Belgio, Repubblica ceca, Francia e Russia. Questo lascia intendere che il numero complessivo dei pazienti transfrontalieri quasi certamente è più alto.
Dallo studio risulta anche che il 36,4 per cento delle prestazioni eseguite all’estero ha previsto la Fivet o l’Icsi con i gameti della coppia coinvolta, mentre il 45,6 per cento si è affidato alla donazione di ovuli e il 17,4 per cento ha fatto ricorso alla Fivet o all’Icsi con donazione di sperma.
Anche altri esperti hanno cercato di studiare e svolgere ricerche su questa forma di assistenza alla riproduzione.
Uno degli studi più importanti è stato coordinato da Karl Nygren, che nel 2006 ha raccolto informazioni in 23 paesi: dalle sue stime si evince che in Europa la maggior parte dell’assistenza transfrontaliera alla riproduzione coinvolge spostamenti in altri paesi europei, non in altri continenti.
Un secondo tentativo è stato effettuato da Françoise Shenfield, che nel 2010 aveva calcolato che in Europa ogni anno sono coinvolti da 24 a 30mila cicli di fecondazione eseguita all’estero per 11-14mila pazienti. Shenfield aveva seguito alcune donne che, per sottoporsi a terapie specifiche, si erano spostate in 44 cliniche della fertilità sparse in 6 paesi europei.
Secondo la ricerca di Shenfield, la maggior parte delle italiane hanno scelto la Spagna e la Svizzera; la maggior parte delle tedesche sono andate in Repubblica Ceca; la maggior parte delle olandesi e delle francesi in Belgio; e la maggior parte delle norvegesi e delle svedesi si è rivolta a cliniche in Danimarca.
Shenfield ha appurato anche che la percentuale di donne di 40 anni o più costituiva il 51,1 per cento delle partecipanti provenienti dalla Germania, e il 63,5 per cento di quelle provenienti dal Regno Unito, rispetto al 32,2 per cento delle donne provenienti dall’Italia e dal 30,2 per cento di quelle provenienti dalla Francia.
Disuguaglianze
Naturalmente, ci sono alcune ovvie ragioni per le quali si cerca assistenza all’estero per la riproduzione.
Jacques De Mouon, ex presidente del consorzio di monitoraggio Eim e autore di un documento su questo tipo di migrazione sanitaria in Europa, sottolinea che la situazione è diversa nei vari paesi a causa delle differenze nelle normative, nei rimborsi e nelle leggi che regolano il concepimento in ciascuno stato europeo. “Alcuni paesi – come Italia, Francia, Albania, Malta, Slovenia e Svizzera – sono più restrittivi, mentre altri – come Regno Unito, Belgio, Danimarca e Spagna – sono più permissivi”.
In Italia, per esempio, l’accesso a queste terapie non è consentito a coppie formate da individui dello stesso sesso o a single, mentre in Danimarca chiunque voglia sottoporsi a terapie per la riproduzione assistita “può ricevere un rimborso dallo stato per i cicli ai quali si sottopone ovunque decida di andare”.
Anche i fattori socioeconomici hanno un peso decisivo: “Ogni ciclo costa dai 3mila ai 6mila euro, farmaci inclusi. Nel caso di pazienti transfrontalieri, ci sono poi da aggiungere le spese di viaggio e di soggiorno nei paesi stranieri. La bassa classe media di sicuro non può permettersi di sborsare cifre del genere”, ha detto De Mouzon.
Una signora che si è sottoposta a queste terapie per quasi dieci anni afferma che “le queste cure possono essere molto onerose, sia dal punto di vista finanziario sia da quello emotivo. Io mi sono sottoposta a decine di cicli prima di restare incinta. Sono arrivata assai vicina al punto di perdere fiducia nell’intero trattamento”.
Stando ad alcuni dati ufficiosi, le terapie per la riproduzione assistita in un altro paese che portano a una gravidanza di successo comportano spese che possono partire dai 25mila euro e superare i 100mila.
L’Oms ritiene che la donazione di gameti o di embrione e la gestazione surrogata siano le tecniche più praticate da coloro che viaggiano per motivi terapeutici. In ogni caso, l’utero in affitto al momento è consentito solo in un numero esiguo di paesi europei.
Inoltre il concepimento non è nemmeno l’ultimo ostacolo da superare per molti di coloro che vivono in paesi con leggi molto restrittive al riguardo.
Per la coppia italiana dello stesso sesso di cui si parlava all’inizio, uno dei problemi ancora da risolvere è legato alla legge che riconosce come genitore solo la persona che ha partorito il bambino. “Ci sono molti modi per aggirare questo ostacolo, ma è indispensabile ricorrere in tribunale” ha detto Di Tommaso. “A questo punto, io sono considerata una madre solo in Spagna. In Italia no”.