Le donne in parlamento e il ruolo delle quote
La Svezia tutela le pari opportunità senza leggi ad hoc, inFrancia c'è un'apposita normativa. Sono tanti i motivi che determinano la presenza delle donne nei parlamenti e negli esecutivi europei. Uno sguardo alle misure adottate nei singoli paesi, e ai risultati ottenuti finora.
Le donne in parlamento e il ruolo delle quote
La Svezia tutela le pari opportunità senza leggi ad hoc, inFrancia c’è un’apposita normativa. Sono tanti i motivi che determinano la presenza delle donne nei parlamenti e negli esecutivi europei. Uno sguardo alle misure adottate nei singoli paesi, e ai risultati ottenuti finora.
Nei parlamenti degli stati membri dell’Ue le donne oscillano fra il 12 e il 47%. Il motivo di queste differenze in parte si spiega con le misure che i paesi adottano per promuovere la presenza delle donne in politica.
Ci sono fondamentalmente due approcci: una legge sulla parità che prescrive l’equa ripartizione tra uomini e donne dei posti nelle liste elettorali, e le quote interne ai partiti, con cui questi si impegnano a garantire una percentuale precisa di uomini e donne nelle liste elettorali.
Undici dei 28 stati membri dell’Ue prevedono nei rispettivi parlamenti nazionali disposizioni legislative in materia di parità di genere. In alcuni casi, tali quote hanno un impatto evidente sulla rappresentanza delle donne in parlamento.
Nel 2007 il governo spagnolo ha fissato una quota legale per le liste per cui almeno il 40% dei candidati deve essere di uno dei due generi. Da allora la rappresentanza di donne in parlamento è salita al 46%. Secondo i dati raccolti dall’Unione interparlamentare (UIP), questo valore oggi si attesta al 41%.
In altri paesi si è raggiunta una notevole presenza femminile nelle cariche politiche anche senza le quote legali. Per esempio in Svezia e Finlandia. In Svezia le parlamentari sono il 47%: il dato più alto in Europa, cui segue la Finlandia, con una rappresentanza femminile pari al 42%.
La Svezia viene spesso acclamata per il suo primo governo in versione femminile. Anziché adottare una quota nazionale, le regole volontarie interne ai partiti hanno una lunga tradizione. Già dalla fine degli anni ’70 molti partiti compilano le loro liste elettorali rispettando l’equilibrio di genere.
Questo dimostra che, in pratica, tutto dipende dalla volontà dei partiti. Un classico esempio è la Francia, dove nel 1999 la Costituzione è stata modificata per consentire l’anno successivo l’entrata in vigore di una legge sulla parità di genere che prescriveva l’equilibrio nella rappresentanza delle liste elettorali, altrimenti sanzionata con il mancato rimborso statale dei costi della campagna elettorale.
Con il partito di Macron il parlamento francese si veste di rosa
Ma è solo con l’ingresso de La République En Marche, il partito di Emmanuel Macron, che il paese ha compiuto un balzo avanti di ben 12 punti percentuali: oggi circa il 40% dei membri dell’Assemblea nazionale è costituito da donne. Secondo il parere degli esperti, questo dato è determinato anche dal fatto che la lista elettorale del partito si componeva effettivamente di candidati donne promettenti. Nella classifica mondiale dell’UIP, il paese è balzato dal 64° al 16° posto e al quarto posto in quella dell’Ue.
In alcuni paesi, la rappresentanza di donne è bassa nonostante l’introduzione di quote obbligatorie. Da un lato ciò è dovuto ai bassi obiettivi fissati, come ad esempio in Grecia, dove esiste una quota prevista dalla Costituzione e dalla legge elettorale secondo la quale almeno un terzo delle liste dei candidati dei partiti, sia per le liste nazionali che per quelle delle circoscrizioni elettorali, deve avere pari rappresentanza. Se la quota non viene rispettata, la lista non viene approvata. In Grecia la rappresentanza di donne in parlamento è solo dell 19%.
Anche le sanzioni pecuniarie previste da un regolamento giuridico non sempre favoriscono l’ingresso delle donne in politica: in Croazia, il mancato rispetto del regolamento sulle quote per il parlamento nazionale viene sanzionato con una multa di 50.000 kuna, l’equivalente di 6.700 euro. Nonostante ciò, la rappresentanza di donne nel parlamento del paese slavo è solo del 21%.
Nei paesi privi di quote il numero di donne in parlamento è più basso
Nel complesso i dati mostrano che, soprattutto nei parlamenti dei paesi dell’Unione europea privi di un sistema di quote nazionali e di quote interne ai partiti, la rappresentanza di donne è bassa, con valori che oscillano tra il 12 e il 28%. Fanalini di coda dell’Ue sono Malta e l’Ungheria.
I paesi privi di una normativa specifica che si avvalgono però di quote volontarie a livello di partito godono solitamente di una maggiore rappresentanza di donne in parlamento, benché non così elevata come in Svezia. In Austria, ad esempio, tre partiti hanno una presenza femminile compresa tra il 33 e il 50%. La rappresentanza complessiva di donne in parlamento è del 37%.
Pur non avendo un sistema di quote, la Germania gode di una rappresentanza femminile in parlamento di quasi il 31%, un valore tuttavia inferiore agli standard tedeschi di 20 anni fa. I partiti hanno dei regolamenti interni: per esempio nella CDU (Christlich Demokratische Union, Unione Cristiano-Democratica di Germania) gli statuti stabiliscono almeno un terzo delle liste elettorali. Die Linke prevede una rappresentanza pari al 50%, mentre per i Verdi la percentuale cambia di volta in volta. Anche la CSU (Christlich-Soziale Union, Unione Cristiano-Sociale) e la SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, Partito Socialdemocratico di Germania) hanno quote interne. L’FDP (Freie Demokratische Partei, Partito Liberale Democratico) e l’AfD (Alternative für Deutschland, Alternativa per la Germania) rifiutano le quote, con conseguente scarsissima presenza di donne rispetto agli altri partiti.
Gli esecutivi con più donne in Francia e in Svezia
Sia i regolamenti interni ai partiti che la legge sulla parità incidono fortemente sulla rappresentanza delle donne in politica: secondo un’indagine OCSE del 2017, i governi di Francia e Svezia vantavano il maggior numero di donne in Europa, benché le quote non valgano per cariche ministeriali. I due paesi avevano più della metà dei ministri donne, seguiti da Slovenia e Danimarca.
Anche in questo caso fanalino di coda è l’Ungheria: al momento dello svolgimento del sondaggio OCSE, nel governo di Viktor Orbán non c’era nemmeno una donna. Andrea Bártfai-Mager è ministro ma senza portafoglio, e come tale non è a capo di un ministero suo.
Ma sulla scelta dei capi di governo non incidono né le quote né le leggi sulla parità. Nei 28 Stati membri attuali dell’Ue le donne a capo di un governo sono solo tre: Angela Merkel in Germania, Theresa May in Gran Bretagna e Viorica Dăncilă in Romania.