Le diseguaglianze tra i pensionati europei stanno aumentando
La crisi del 2008 ha ampliato il divario tra i paesi europei sia per quanto riguarda l’età di pensionamento, sia per il valore delle pensioni. Un fenomeno accentuato dall’invecchiamento della popolazione.
Le diseguaglianze tra i pensionati europei stanno aumentando
La crisi del 2008 ha ampliato il divario tra i paesi europei sia per quanto riguarda l’età di pensionamento, sia per il valore delle pensioni. Un fenomeno accentuato dall’invecchiamento della popolazione.
L’attenzione che i cittadini europei riservano alle loro pensioni è aumentata a partire dalla crisi: ad esempio, ormai il 16 per cento degli italiani considera questo tema come una delle due questioni principali che il paese deve affrontare, rispetto all’8 per cento registrato dieci anni fa. D’altronde, è uno dei temi più trattati della campagna elettorale in vista del voto del 4 marzo, e i partiti di destra si sono già accordati sull’annullamento degli aumenti progressivi dell’età pensionabile, previsti dalla riforma del 2011. In Francia, il presidente Emmanuel Macron propone, senza toccare né i parametri d’età né i periodi di contribuzione, di rendere l’ambito pensionistico più trasparente, introducendo un sistema “a punti”, ma, per il momento, questo delicato progetto è stato rimandato al 2019.
In tutta Europa, la questione delle pensioni sta diventando sempre più un tema centrale nel dibattito economico e sociale, in parte a causa del peso crescente che costituisce sui conti pubblici, in parte in relazione ai cambiamenti demografici. Nel 2050, l’Ocse dovrebbe quindi contare più di 50 pensionati ogni 100 persone attive, ovvero il doppio del rapporto registrato nel 2015. Questo tasso dovrebbe addirittura raggiungere più di 70 pensionati ogni 100 attivi in Spagna e in Italia.
Oltre alla crescita progressiva della speranza di vita, che aumenta il numero di anni trascorsi in pensione (19,6 per le donne e 14,6 per gli uomini nel 1990, contro rispettivamente 22,5 e 18,1 che l’Ocse registra in media oggi) e di conseguenza le pensioni percepite, l’uscita dal mondo del lavoro della generazione dei baby boomers e la stabilizzazione del tasso di natalità a un livello relativamente basso nell’insieme dei paesi Ocse rischia di tradursi o in un abbassamento del tasso di sostituzione (la relazione tra l’importo della pensione da percepire e l’ultima remunerazione ricevuta durante l’attività lavorativa, espresso in percentuale) per i futuri pensionati, o in un aumento della spesa dello Stato per mantenere il sistema pensionistico.
Se la qualità della vita degli anziani non sembra essere variata dopo la crisi, tuttavia questa situazione non dovrebbe durare a lungo, avverte l’Ocse nel suo recente rapporto sulle ineguaglianze d’età, la cui prima edizione è stata pubblicata lo scorso novembre, e ciò dimostra che questo tema è al centro del dibattito politico. “L’età sarà vissuta in modo diverso per le generazioni nate a partire dagli anni Sessanta, sotto l’effetto dell’allungamento della durata della vita, della riduzione delle dimensioni dei nuclei familiari, dell’aumento delle disparità nel corso della vita attiva e delle riforme che hanno ridotto le pensioni di anzianità”, avverte l’organizzazione.
Tre strumenti d’intervento
Per garantire la sostenibilità dei loro sistemi pensionistici in queste condizioni, i governi possono intervenire in tre modi: rialzare l’età di pensionamento, aumentare i contributi previdenziali prelevati dai salari o ridurre le pensioni erogate. Se l’aumento dei contributi riduce meccanicamente il deficit di un sistema previdenziale, “aumenta i costi indiretti del lavoro e può, di rimando, colpire i salari netti o il lavoro stesso, in base al modo in cui il mercato del lavoro reagisce nel tempo”, come sottolinea l’Ocse nel suo ultimo rapporto sulle pensioni, pubblicato in novembre 2017.
Quanto a un’eventuale riduzione dei livelli pensionistici, appare anch’esso poco accettabile, in ragione dell’accentuarsi delle ineguaglianze per le persone in età avanzata. Numerosi paesi europei hanno dunque preferito puntare sulla terza modalità: l’aumento dell’età pensionabile. Questo obiettivo è stato raggiunto tramite un innalzamento dei versamenti contributivi richiesti per ottenere una pensione a tasso pieno (passata da 41,5 a 43 anni in Francia) o una riduzione dell’età legale di pensionamento. Entro il 2060, l’età regolare di pensionamento deve quasi dimezzarsi nei paesi dell’area Ocse: nello specifico, di 1,5 anni per gli uomini e circa 2 anni per le donne. Una misura che l’Ocse ritiene “vincente, quanto meno per coloro che possono effettivamente lavorare più a lungo”.
Diversi di fronte all’invecchiamento
Tuttavia, aumentare l’età di uscita dal mondo del lavoro rischia di acuire le disparità tra pensionati, in quanto la speranza di vita non aumenta con lo stesso ritmo per tutte le categorie sociali. In Francia ad esempio, sono 13 gli anni di speranza di vita che separano il cinque per cento di uomini più poveri (livello di vita medio pari a 470 euro al mese) dal cinque per cento di più benestanti (che raggiungono un livello di 5.800 euro), secondo un recente studio dell’Istituto di statistica francese. L’Ocse specifica che “un aumento di un anno dell’età pensionabile rappresenta dunque un mancato guadagno più consistente per i lavoratori a basso reddito rispetto ai loro concittadini più agiati”. Un abbassamento di tre anni dell’età media di pensionamento in Europa entro il 2060 ridurrebbe così del 2,2 per cento la pensione relativa dei lavoratori poveri.
L’altra questione che si pone è quella della capacità dei lavoratori più anziani, qualificati o no, a restare nel mercato del lavoro a fine carriera. Nonostante l’Ocse noti miglioramenti nel tasso di occupazione degli europei di età compresa tra i 55 e il 64 anni (dal 44 per cento del 2000 al 58 per cento registrato nel 2016), restano ancora progressi da compiere.
Riproduzione delle disparità salariali
Mentre le giovani generazioni dovranno affrontare, secondo l’Ocse, “maggiori rischi di disparità in età avanzata in rapporto alle attuali pensioni”, nel suo ultimo rapporto sulle pensioni l’organizzazione mette in evidenza l’incapacità della maggioranza dei sistemi previdenziali europei a colmare le disparità che si creano nel corso della vita, in particolar modo se pensiamo alle disparità salariali. In Belgio, Francia, Spagna o Italia, i lavoratori poveri (che guadagnano meno del 50 per cento del reddito medio) sono colpiti da tassi di sostituzione più deboli rispetto agli altri lavoratori.
In media, nei paesi dell’Ocse, circa tre quarti delle diseguaglianze salariali accumulate nel corso di una carriera proseguono col pensionamento. Questo tasso raggiunge punte del 90 per cento in Spagna, Francia e Italia. Il Regno Unito sembra far eccezione, ma l’istituzione avverte che “se consideriamo anche i regimi pensionistici complementari, circa il 20/25 per cento delle disparità salariali proseguono dopo l’uscita dal mondo del lavoro”. La priorità è dunque il miglioramento dell’equità dei nostri sistemi previdenziali.