Le 5 decisioni che l’Europa dovrebbe prendere subito contro la crisi
Da più parti si esorta l’Ue a intervenire nella crisi provocata dalla diffusione del coronavirus. L'Unione ha poco margine di manovra in campo sanitario; al contrario in ambito economico e monetario può aiutare a contrastare la recessione alle porte.
Le 5 decisioni che l’Europa dovrebbe prendere subito contro la crisi
Da più parti si esorta l’Ue a intervenire nella crisi provocata dalla diffusione del coronavirus. L’Unione ha poco margine di manovra in campo sanitario; al contrario in ambito economico e monetario può aiutare a contrastare la recessione alle porte.
La crisi innescata dal coronavirus sta gradualmente colpendo tutta l’Europa, paralizzandone l’economia. Al momento i paesi più colpiti – Spagna e Italia – sono tra quelli più toccati dalla crisi del 2008. Ma anche le economie dei due pesi massimi europei, la Francia e la Germania, si stanno arrestando. Cosa possono e devono fare le istituzioni dell’Ue per far sì che un paese non venga lasciato solo di fronte a questa situazione? Con il rischio, per non dire la certezza, di vedere i più deboli indebolirsi ulteriormente.
Ci sono diverse strade che possono essere percorse, come dimostrano in particolare i lavori di Daniela Schwarzer e Shahin Vallée per il DGAP tedesco, quelli di Lucas Guttenberg per il Centro Jacques Delors della Scuola Hertie o quelli di Luis Garicano per VoxEU.
Vediamo a che punto è il dibattito e quali sono le principali proposte. Per il momento non si tratta di sostenere la domanda e di rilanciare l’attività economica, come durante una classica crisi finanziaria, ma piuttosto di ridurla al minimo indispensabile per fermare gradualmente l’epidemia. Si tratta di evitare i licenziamenti grazie a una cassa integrazione diffusa e sufficiente, di scongiurare il fallimento delle piccole e medie imprese e dei lavoratori autonomi, di contrastare lo strangolamento delle banche e di finanziare uno sforzo eccezionale in termini di spesa sanitaria. E tutto questo limitando la speculazione sui mercati finanziari, in particolare contro il debito degli stati più fragili.
In senso stretto, il bilancio europeo ha risorse estremamente limitate: pesa meno dell’1 per cento del Pil dell’Unione, il suo utilizzo è altamente regolamentato e l’Unione non può indebitarsi emettendo titoli sui mercati finanziari come fanno gli stati membri. L’11 marzo la Commissione europea ha annunciato la costituzione di un fondo speciale di 25 miliardi di euro, lo 0,17% del Pil dell’Unione a 27, una goccia nell’oceano; il 17 marzo è andata un po’ oltre, aumentando questo importo a 37 miliardi, attraverso i fondi strutturali non utilizzati, e ha previsto di liberarne altri 28 in seguito. Ma anche 65 miliardi di euro – 0,45 punti di PIl – sarebbero comunque un importo insufficiente.
Una tale crisi potrebbe e dovrebbe essere un’opportunità per eliminare il tabù degli Eurobond, l’emissione congiunta da parte dell’Unione europea (o degli stati europei) di titoli di debito pubblico per finanziare la sua azione. Il tema è stato affrontato dal Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, in un vertice d’emergenza sulla crisi che si è tenuto in videoconferenza il 17 marzo scorso. È stato sostenuto dal presidente francese Emmanuel Macron. E, sorpresa, la cancelliera tedesca Angela Merkel non ha detto di no, rimandando la palla al suo ministro delle finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, affinché studi più precisamente le eventuali modalità. Il coronavirus offre una buona opportunità per rompere questo tabù.
L’argomentazione principale contro gli Eurobond è stata finora l’”alea morale”: se vengono emessi Eurobond, non sarà più nell’interesse di nessuno mantenere la disciplina di bilancio a livello nazionale. Ma nel caso del coronavirus, lo shock è chiaramente del tutto esogeno rispetto all’eurozona, e la risposta tramite le eurobbligazioni non può essere sospettata di incoraggiare comportamenti devianti. Ma siamo ancora lungi da questa soluzione: Mark Rutte, il premier olandese e leader dei falchi del bilancio europeo, si è detto contrario per il momento. L’idea sta quindi guadagnando terreno, ma probabilmente la strada è ancora lunga.
Al momento la salvaguardia dei redditi degli europei, la lotta contro il fallimento delle imprese e lo sforzo necessario per combattere l’epidemia dipenderanno principalmente dai bilanci degli Stati membri. O più precisamente nell’immediato futuro dai loro deficit e debito, poiché si tratta sia di ridurre le entrate esentando le imprese e le famiglie da tasse e contributi, sia di aumentare la spesa per il lavoro a orario ridotto, le agevolazioni di credito, l’assistenza sanitaria e il mantenimento dell’ordine… È già stato stabilito che in tali circostanze le clausole restrittive del Patto di stabilità non sono più applicabili: possiamo uscire dai limiti del 3 per cento del deficit pubblico e dall’obbligo di ridurre il debito pubblico se ci troviamo al di sopra del 60 per cento del Pil. Il governo francese ha già annunciato che il deficit sarà del 3,9 per cento del Pil nel 2020, una previsione che sarà probabilmente rivista al rialzo nelle prossime settimane.
Ma ancora non basta: una parte significativa delle spese che gli stati sosterranno consisterà nel fornire aiuti alle imprese per evitare il fallimento, anche se il loro fatturato è crollato. Gli aiuti di Stato alle imprese sono disciplinati in modo molto rigoroso dai trattati europei: uno dei compiti principali della Commissione europea è quello di dare loro la caccia per evitare distorsioni della concorrenza all’interno del mercato unico. Tuttavia, la Commissione ha già annunciato che gli aiuti concessi alle imprese specificamente per affrontare la crisi del coronavirus non saranno considerati come una distorsione della concorrenza.
In assenza di un significativo aiuto immediato all’economia europea, le istituzioni europee hanno quindi spianato la strada all’attuazione di politiche nazionali ambiziose. Tuttavia, come nel campo delle misure sanitarie, non esiste ancora un reale coordinamento di queste politiche nazionali in risposta alla crisi, anche se il vertice del 17 marzo ha segnato alcuni progressi in questa direzione, incoraggiando gli Stati a spendere un punto di Pil per sostenere le loro economie e a concedere agevolazioni di cassa alle loro imprese fino all’equivalente di 10 punti di Pil.
In sostanza ciascuno va avanti da solo, al suo ritmo. La Germania ha annunciato l’attuazione di un “bazooka” da 500 miliardi di euro, 14 punti di Pil; la Francia intende mettere sul tavolo 300 miliardi di euro, 12 punti di Pil; in precedenza l’Italia aveva annunciato un piano di 25 miliardi di euro, 1,4 punti di Pil, mentre la Spagna punta a iniettare 14 miliardi nella sua economia, 1,1 punti di Pil.
In questa fase, questi piani, ancora poco dettagliati, sono difficili da confrontare perché la natura delle somme prese in considerazione è diversa: le più importanti non sono generalmente spese pubbliche in senso stretto, ma piuttosto semplici agevolazioni di cassa offerte alle imprese per evitare il fallimento.
Tuttavia, questa enumerazione evidenzia un problema potenziale non da poco: in un quadro puramente nazionale, il margine di manovra dei governi è molto diverso. E i paesi più colpiti dall’epidemia finora – Italia e Spagna – sono anche quelli che hanno meno potenza di fuoco da soli perché già molto indeboliti dalla crisi dell’eurozona da cui si erano a malapena ripresi prima che il coronavirus colpisse.
In particolare, la crisi del coronavirus ha già spinto al rialzo i tassi di interesse a lungo termine a cui gli stati europei possono contrarre prestiti sui mercati finanziari, Germania compresa. Ma ha anche iniziato ad allargare lo spread, il differenziale di tasso d’interesse tra i diversi paesi della zona euro. L’Italia deve ora pagare il 2,6% in più di interessi all’anno rispetto alla Germania per finanziare il suo debito, rispetto all’1,3% di un mese fa, e lo spread è raddoppiato… Su un debito che attualmente pesa il 137% del Pil italiano, questo rappresenta un costo aggiuntivo di 3,6 punti di Pil all’anno in spesa per interessi per l’Italia se questo spread viene mantenuto nel lungo periodo. Questo rischia di dissuadere il governo italiano dall’adottare misure di sufficiente portata in risposta alla crisi. Inoltre, c’è il serio rischio che il divario possa aumentare ulteriormente nelle prossime settimane se la crisi sanitaria continua.
Da qui la necessità di trovare soluzioni collettive che permettano di aiutare soprattutto gli stati più fragili. Tuttavia, non dobbiamo farci illusioni: anche i più forti saranno colpiti se la solidarietà europea non sarà sufficiente. Come ha detto l’economista Shahin Vallée: “Contrariamente a quanto accaduto durante la crisi dell’eurozona, anche i tassi di interesse tedeschi sono aumentati negli ultimi giorni”. Ma l’Europa dispone di diversi mezzi per intervenire, soprattutto grazie ai nuovi strumenti messi in atto a seguito della crisi dell’eurozona.
1. La Banca europea deve concedere prestiti massicci alle piccole e medie imprese
Tutti i governi concederanno agevolazioni di cassa alle aziende per evitare il fallimento. In genere lo fanno tramite banche pubbliche. A livello europeo, la Banca europea per gli investimenti (Bei) potrebbe fornire alcune di queste agevolazioni per evitare che diventino un peso eccessivo sul debito pubblico dei singoli stati.
La Bei ha già accettato di fornire 8 miliardi di euro di prestiti alle piccole e medie imprese, e di alzarli ulteriormente fino a 20 miliardi. Ma non basta. L’economista spagnolo Luis Garicano propone che la Bei conceda prestiti per 275 miliardi di euro, l’equivalente di 2 punti del Pil dell’Unione. Importi che potrebbe raccogliere emettendo titoli sui mercati finanziari, che sarebbero di fatto equivalenti agli Eurobond. E se il suo capitale non fosse sufficiente a sostenere tali prestiti, i governi dovrebbero ricapitalizzarlo.
2. Occorre ricorrere ai fondi del Meccanismo europeo di stabilità senza condizioni
La seconda leva che l’Europa potrebbe utilizzare è il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) istituito dopo la crisi del 2010. Questo fondo ha una capacità di intervento di 410 miliardi di euro – 3,4 punti del Pil della zona euro. L’obiettivo è quello di fornire assistenza condizionata ai paesi che non possono più finanziare il loro debito sui mercati finanziari a tassi economicamente sostenibili. È stato inoltre dotato della capacità finora mai utilizzata di concedere prestiti d’emergenza, anche prima che uno stato venga posto sotto la sua tutela. Nel contesto attuale, il Mes dovrebbe essere fortemente incoraggiato dai leader europei ad avvalersi di questa possibilità non appena se ne presenti la necessità. Il Meccanismo dovrebbe inoltre indicare che nel contesto del coronavirus, le uniche condizioni che porrà al suo aiuto saranno che il denaro fornito sia utilizzato per sostenere il sistema sanitario e le vittime della crisi del coronavirus.
3. La Banca centrale europea deve acquistare i titoli degli stati più in difficoltà
L’entrata in gioco del Mes consentirebbe anche alla Banca centrale europea (Bce) di utilizzare uno strumento messo in atto durante la crisi dell’eurozona ma non ancora in uso: le Outright Monetary Transactions (Omt). A condizione che il Mes abbia deciso di aiutare un governo, questo meccanismo dà alla Bce il diritto di acquistare i titoli di debito di quel governo sui mercati per abbassare i tassi di interesse richiesti dagli investitori. La Bce non può farlo in tempi ordinari: quando interviene sui mercati finanziari è infatti obbligata ad acquistare in proporzione tanto il debito tedesco quanto quello italiano.
4. Le risorse dell’unione bancaria devono essere rafforzate
La quarta leva di cui l’Europa dispone oggi è il Fondo unico di risoluzione (Fur), istituito nell’ambito dell’unione bancaria per evitare che le difficoltà che le banche di un paese pesino sulle sue finanze, correndo così il rischio di aumentare la speculazione sul suo debito pubblico. Un circolo vizioso che era stato osservato nei paesi in crisi nel 2008-2010. Questo fondo, alimentato dalle banche stesse, rimane però per il momento modesto: dispone per ora solo di 33 miliardi di euro, una goccia nell’oceano per garantire i 35 mila miliardi di euro di bilancio delle banche europee. Ma una delle riforme del Meccanismo europeo di stabilità, già menzionato, in discussione prima della crisi del coronavirus, era quella di utilizzare questo fondo come “backstop” (rete di sicurezza) per il Fur: se le difficoltà delle banche avessero superato la capacità di risposta del Fur, allora il Mes gli sarebbe subentrato per sostenere le banche. Nel contesto attuale sarebbe molto importante che questa riforma venisse attuata il più rapidamente possibile per evitare che le difficoltà del sistema finanziario di un determinato paese si riflettano sulla qualità del suo debito pubblico.
5. Finanziamento della cassa integrazione su scala europea
Prima della crisi del coronavirus, in Europa si erano fatti progressi notevoli sull’idea di un sistema europeo di disoccupazione come strumento di attuazione di strumenti anticiclici di solidarietà. La crisi attuale potrebbe e dovrebbe essere un modo per iniziare ad attuarlo finanziando parte della cassa integrazione prevista attraverso i fondi europei. Se si prolunga, sarà probabilmente necessario considerare anche l’opzione dei sussidi versati direttamente alle famiglie dalla Banca centrale europea.
Insomma, di fronte alla crisi economica e sociale senza precedenti che l’epidemia di coronavirus sta causando in Europa, non siamo del tutto privi di strumenti per rispondere in uno spirito di solidarietà. Ma, come nelle precedenti crisi economiche e finanziarie, è in atto una corsa contro il tempo: l’Europa sarà in grado di reagire questa volta diversamente da “troppo poco” o “troppo tardi”?