La pandemia come pretesto per una sorveglianza digitale a tutto campo
La raccolta di massa di dati, la geolocalizzazione e il riconoscimento facciale sono diventati una realtà nel clima di diffusa paura del contagio. Queste minacce alla privacy, alla libertà e alla democrazia si intensificheranno sempre di più con l’imposizione delle app di tracciamento dei contatti.
La pandemia come pretesto per una sorveglianza digitale a tutto campo
La raccolta di massa di dati, la geolocalizzazione e il riconoscimento facciale sono diventati una realtà nel clima di diffusa paura del contagio. Queste minacce alla privacy, alla libertà e alla democrazia si intensificheranno sempre di più con l’imposizione delle app di tracciamento dei contatti.
In tutta Europa la lotta contro Covid-19 ha comportato l’introduzione diffusa di misure tecnologiche di sorveglianza e di tracciamento che violano le libertà civili e i diritti umani. E, mentre alcune iniziative radicali potrebbero essere giustificate da una situazione senza precedenti, la preoccupazione maggiore è che i vari aspetti dell’autoritarismo digitale che sono stati imposti restino tali anche dopo questa crisi.
In un clima di paura e incertezza diffuse sono state introdotte misure che prima sarebbero sembrate impensabili, e che avrebbero probabilmente dovuto scontrarsi con una forte opposizione in qualsiasi altra circostanza. Il tutto senza un accurato esame della loro adeguatezza rispetto alla lotta contro l’epidemia e quindi all’equilibrio tra sicurezza e libertà.
Come già visto durante il lockdown, le misure adottate finora lasciano ampio spazio all’abuso di potere e non fanno che intensificarsi sotto la costante minaccia della seconda ondata del virus.
Le misure tecnologiche adottate in Europa
Tra le prime misure ampiamente diffuse c’è stato il controllo con i droni, introdotto in Belgio, Croazia, Francia, Grecia, Ungheria, Polonia, Spagna, Turchia e nel Regno Unito, per verificare che le persone rispettassero le norme del confinamento e di distanziamento sociale.
Il Consiglio di stato, il supremo tribunale amministrativo francese, ha presto ritenuto illegale l’uso dei droni a causa della violazione della privacy, in quanto i dati raccolti hanno permesso di svelare l’identità delle persone rintracciate; i droni utilizzati dalle forze dell’ordine greche sono anche essi stati ritenuti non sufficientemente regolamentati per prevenire le violazioni della privacy.
In Polonia, il governo ha lanciato un’app che richiede ai soggetti sottoposti a ordini di quarantena di caricare un selfie nel giro di 20 minuti per confermare la loro presenza a casa. Questi selfie vengono verificati tramite il riconoscimento facciale abbinato alla geolocalizzazione, ma non c’è alcuna spiegazione sul perché le immagini debbano rimanere nei server del governo per sei anni, ammesso che si tratti di una soluzione temporanea.
La Russia ha messo in piedi una rete di 100mila telecamere di riconoscimento facciale per rintracciare gli individui durante il lockdown. Molti di quelli che sono usciti solo per fare la spesa sono stati contattati nel giro di pochi minuti dalle autorità e successivamente multati per aver infranto le regole, a dimostrazione del fatto che la tecnologia è collegata a un’ampia rete di raccolta di altri dati personali.
In Slovacchia è stata approvata una legge che consente all’Ufficio della sanità pubblica di utilizzare la geolocalizzazione degli smartphone per rintracciare le persone in quarantena. Nonostante il governo abbia affermato che solo pochi dati sarebbero stati raccolti e utilizzati solo nel contesto dell’epidemia, sono state pubblicate informazioni contenenti il sesso, l’età e l’indirizzo delle persone. La Serbia è andata oltre, con il presidente Aleksandar Vučić che ha ammesso di tracciare i numeri di telefono per seguire i movimenti delle persone, in particolare degli stranieri, e ha avvertito i cittadini di “non provare a fregarci lasciando il telefono in un posto [mentre ci si muove] perché abbiamo trovato un altro modo per tracciare chi infrange le regole”.
La polizia bulgara è stata in grado di richiedere e di ottenere informazioni da operatori telefonici e internet sulle comunicazioni private di cittadini per monitorare quelli in quarantena. A partire da queste informazioni le autorità possono rintracciare la loro posizione attuale e vedere con chi hanno parlato e quali siti internet hanno visitato.
La Romania, la Germania e il Liechtenstein hanno già sperimentato il braccialetto biometrico sui cittadini in quarantena che, come nel caso precedente, fornisce la posizione di chi lo indossa e informa le autorità se la persona è rimasta a casa o se è uscita.
Giornalisti e difensori dei diritti umani in pericolo
Molti paesi hanno perseguito giornalisti dissidenti e difensori dei diritti umani con il pretesto che non devono essere diffuse bufale sul virus, e quindi impediscono loro di fare il proprio lavoro (e quindi di dare informazioni potenzialmente affidabili).
La Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović ha dichiarato che in Repubblica Ceca, Serbia e Italia, è stato impedito ai giornalisti di “assistere a conferenze stampa, di ottenere informazioni dalle autorità sanitarie o di riportare le operazioni degli agenti delle forze dell’ordine” e ha insistito affinché siano attuate delle misure adeguate per quanto riguarda la disinformazione.
In Ungheria, dove il governo ha sospeso le norme europee a protezione dei dati personali nel bel mezzo della crisi, chiunque sparga informazioni “false” o “falsate” rischia fino a cinque anni di reclusione. Per questo parecchi cittadini e addirittura un membro del partito dell’opposizione sono stati fermati dalla polizia per dei post pubblicati su internet. Una legge simile, che il governo intende mantenere anche dopo la crisi, è stata approvata in Bulgaria. La Romania ha applicato un decreto di emergenza autorizzando, tra le altre misure, le procedure per il rilevamento e l’eliminazione delle “fake news” sui siti web o nei telegiornali senza alcun possibilità di presentare un ricorso, mentre in Turchia molti giornalisti sono oggetto di procedure penali o detenuti per aver fatto un servizio sul Covid-19.
BigTechtopia
Con le tecnologie all’avanguardia per Covid-19 che hanno un ruolo sempre più di spicco nelle nostre vite private e più generalmente nella società, si pone l’urgente questione del raggiungimento di un equilibrio tra sicurezza, progresso e libertà.
L’influenza delle grandi società tecnologiche nelle sfere pubblica e politica è crescente, con un’evoluzione tecnologica apparentemente inarrestabile che ci porta ad una popolazione rigorosamente conformata e sorvegliata.
BigTechtopia è un progetto di giornale online indipendente intrapreso dal giornalista Andreas Vou per fornire trasparenza sui giganti della tecnologia e capire i legami tra queste società e le loro affiliazioni.
Posta nel bel mezzo della battaglia tecnologica che oppone la Cina agli Stati Uniti, l’Europa affronta una sfida difficile che consiste nell’impedire l’influenza tecnologica e politica eccessiva di queste potenze, sostenendo le sue leggi sulla privacy più protettrici, ma allo stesso tempo non deve stare dietro ai suoi concorrenti.
In collaborazione con l’European Data Journalism Network, che promuove l’uso di statistiche e dat come un modo di fornire informazioni verificabili, questa miniserie intende assistere il pubblico nel fare scelte migliori in campi che minacciano sia la democrazia che altri pilastri fondamentali della società come la libertà di espressione, le libertà civili e i diritti umani.
Le app di tracciamento dei contatti
Questi ultimi mesi sono serviti come base per l’espansione della sorveglianza attraverso le app di tracciamento dei contatti sviluppate dai governi, che saranno imposte in modo più aggressivo non appena ci sarà una più che probabile seconda ondata. Queste app comprenderanno gran parte di quanto descritto sopra e daranno sempre più spazio a violazioni della privacy, della libertà di espressione e dei diritti umani.
Uno studio condotto dall’agenzia Ogury nel maggio 2020 ha rivelato che c’è una mancanza di fiducia seria nei governi per quanto riguarda la protezione dei dati nelle app di tracciamento dei contatti nei cinque paesi d’Europa più popolati.
In Francia dove solo il 2% della popolazione ha scaricato l’app, il 33% dei rispondenti sarebbero disponibili a condividere i propri dati e il 63% non si fidano del governo per proteggere le loro informazioni. In Spagna il 57% non si fidano del governo per raccogliere in modo sicuro i dati mentre in Italia il 59% nutrono preoccupazioni sulla sicurezza dei loro dati, con il 62% dei sondati riluttanti a condividere qualsiasi dato.
Anche in Germania dove l’app di tracciamento dei contatti ha superato i 6,5 milioni di scaricamenti in 24 ore, sono stati osservati numeri simili con solo il 36% disposti a condividere i propri dati e il 60% che non si fidano del proprio governo per quanto riguarda la protezione dei dati. Il Regno Unito, che ha abbandonato l’idea di un’app centralizzata, registra la maggiore diffidenza verso il governo riguardo l’archiviazione dei dati (60%).
Un motivo ci sarà. La Norvegia è stata costretta a “staccare la spina” della sua app di tracciamento dei contatti dopo che l’agenzia nazionale per la protezione dei dati ha ritenuto che era troppo invadente della privacy, mentre in Polonia un ingegnere informatico esperto ha abbandonato il progetto ProteGo Safe del suo governo dopo un incontro con il Ministero degli Affari digitali, i cui funzionari volevano che l’app collegasse i dati con i numeri di telefono, il che avrebbe permesso lo svelamento dell’identità degli utenti.
Nel Regno Unito circa 170 ricercatori e scienziati che lavorano nel campo della sicurezza dell’informazione e della privacy hanno firmato una lettera comune indirizzata al National Health Service (Nhs), il sistema sanitario britannico, sulle loro preoccupazioni riguardo al suo progetto di sviluppo di un’app. “È fondamentale che quando usciremo dall’attuale crisi, non avremo creato uno strumento che permetta la raccolta di dati sulla popolazione o su settori specifici della società, per la sorveglianza”, si legge nella lettera. “Queste informazioni intrusive possono comprendere il social graph (la rete di amici o di conoscenti) che rivela quale individuo un utente ha incontrato di persona in un certo momento. Con l’accesso al social graph, un attore malintenzionato (uno stato, il settore privato o un hacker) potrebbe spiare le attività della vita reale dei cittadini. Siamo particolarmente innervositi da una dichiarazione secondo cui il social graph è in effetti un obiettivo di NhsX”, il dipartimento incaricato della digitalizzazione dell’Nhs.
Google e Apple, il duopolio globale di tutti i sistemi operativi sui quali funzioneranno queste app e che hanno il controllo sugli aggiornamenti automatici delle Api (Interfacce di programmazione delle app), hanno dichiarato che alla fine permetteranno “un’interazione con un più ampio ecosistema di app e di autorità sanitarie dei governi”, il che consentirebbe la creazione del suddetto social graph.
Gli sviluppatori si difendono spesso precisando che queste app funzioneranno a titolo “volontario”, ma l’inevitabile pressione sociale e del governo ad usarle, o la probabilità che esse diventino obbligatorie sul luogo di lavoro o in aereo metteranno in discussione la loro opzionalità, costringendo fondamentalmente la gente ad usare software vulnerabili e facilmente tracciabili che avrebbero una notevole influenza sulla natura delle vite di tutt quantii.
Anche l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha ammesso che “l’efficacia degli strumenti digitali che facilitano il tracciamento dei contatti rimane un’incognita” e che “attualmente non esiste nessun modo di valutare l’efficacia degli strumenti digitali”. Human Rights Watch ha inoltre messo in dubbio tali app, mettendo in guardia circa le loro ampie capacità di sorveglianza.
Un’app che funziona a titolo “volontario” non significa che il trattamento dei dati personali si basi per forza sul consenso dell’utente, soprattutto quando si sa che la maggior parte delle entità pubbliche e private coinvolte in tali progetti non vogliono né divulgare la durata del tracciamento delle persone o il modo di raccolta dei dati, né dire se essa continuerà quando si placherà la pandemia.
L’accanito dibattito nell’Ue sulla centralizzazione o meno di tali app, sul loro titolo volontario od obbligatorio, sulla loro funzionalità GPS o Bluetooth è pertanto ridondante ed è semplicemente una distrazione da altre considerazioni più importanti.
Dall’evoluzione costante dei dati che indicano una minaccia di gran lunga inferiore a quanto previsto in un primo momento, ai Cdc (Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie) la cui stima più accurata indica un tasso di mortalità del Covid-19 dello 0,4% per pazienti che mostrano sintomi, ad altri studi sugli anticorpi che mostrano che sono maggiormente presenti nel sistema immunitario di una persona ritenuta “sana” rispetto a una persona davvero contagiata, fino ad altri esperti che insistono sul fatto che tali app sarebbero efficaci solo all’inizio delle pandemie, ci sono chiaramente motivi più importanti perché queste app vengano abbandonate.
Nonostante ciò, le preoccupazioni espresse dagli esperti in disaccordo con le autoproclamate dichiarazioni “ufficiali” sembrano cadere nel vuoto per via di un flusso di informazioni sempre più controllato e uniforme, consentendo al meccanismo della paura da Covid-19 e alle rigide misure tecnologiche correlate di imporsi in un batter d’occhio.
La minaccia costante di una seconda ondata del virus proviene direttamente dai governi che non vedono l’ora di imporre un controllo più stretto della loro popolazione, sostenuti dalle grandi società tecnologiche. Oltre a registrare un lungo elenco di violazioni della privacy, queste ultime sono anche le più grandi beneficiarie di questa crisi.
Di conseguenza, le app di tracciamento dei contatti così come altre misure tecnologiche invasive che saranno intrinsecamente legate a ogni aspetto delle vite di tutti rappresentano, se non verificate e analizzate bene, una nuova, spaventosa, realtà.