La gestione della pandemia nelle carceri italiane e europee
In molti paesi dell’Unione europea la pandemia ha colpito duramente le prigioni, ambienti chiusi, spesso insalubri e già caratterizzati da molte restrizioni. In Italia, uno dei paesi con gli istituti più sovraffollati, ha acuito vari problemi strutturali preesistenti.
La gestione della pandemia nelle carceri italiane e europee
In molti paesi dell’Unione europea la pandemia ha colpito duramente le prigioni, ambienti chiusi, spesso insalubri e già caratterizzati da molte restrizioni. In Italia, uno dei paesi con gli istituti più sovraffollati, ha acuito vari problemi strutturali preesistenti.
Le conseguenze della pandemia da Covid-19 sul mondo del lavoro, dell’istruzione, su disparità di genere e sociali e molti altri aspetti legati alla qualità della vita, hanno colpito alcuni gruppi di persone più duramente rispetto ad altri. Basti pensare alle donne vittime di violenza domestica costrette, durante i periodi di chiusure, a passare gran parte del loro tempo in casa con il proprio carnefice. Oppure ai lavoratori precari, che più degli altri hanno subito la crisi economica e il calo dell’occupazione, o alle famiglie numerose che vivono in case affollate, o a chi non aveva e non ha accesso a una connessione internet che gli permetta di lavorare in smartworking o di garantire ai propri figli la didattica a distanza.
Tra questi e altri gruppi di persone che hanno subito in modo più grave le conseguenze della pandemia vanno sicuramente inclusi i detenuti. Per quanto le carceri siano spesso pensate come ambienti isolati e quindi in un certo senso protetti dall’esterno, la loro condizione di sovraffollamento cronico ha infatti comportato molte difficoltà nella gestione del virus.
Secondo l’associazione Ristretti orizzonti , l’emergenza sanitaria ha avuto l’effetto di riproporre e acuire alcuni dei loro problemi strutturali. Questo è avvenuto non solo in Italia ma anche in molti altri paesi del continente europeo. Insieme ad altre 11 redazioni dello European Data Journalism Network, abbiamo raccolto dati su 32 paesi che mostrano come le prigioni hanno gestito l’attuale pandemia.
Le condizioni delle carceri alla vigilia dell’emergenza sanitaria
Prima dello scoppio della pandemia a inizio 2020, nelle strutture penitenziarie italiane erano recluse più di 62mila persone. L’Italia era da questo punto di vista il quarto paese Ue, dopo Polonia, Francia e Germania, che ne avevano rispettivamente circa 75mila, 71mila e 63mila. Rapportando queste cifre alla popolazione totale, in Italia vi erano, nel 2019, 104 carcerati ogni 100mila abitanti, un dato comunque al di sotto della media Ue (pari a 119,6).
A partire dagli anni ’90 le cifre sono andate progressivamente aumentando, fatta eccezione per alcune oscillazioni. In particolare il forte calo del 2006, in corrispondenza dell’indulto per i reati meno gravi, approvato con la legge 241/2006 . Il numero di prigionieri, in quell’anno, è improvvisamente calato del 34,5%, passando da quasi 60mila a circa 39mila persone.
Si è trattato però una di soluzione di carattere puramente emergenziale e non organico. Ha infatti avuto un effetto limitato nel tempo, visto che già l’anno successivo il numero di reclusi ha ripreso a crescere.
Negli ultimi 26 anni è aumentato il numero dei detenuti
I prigionieri in Italia, tra il 1993 e il 2019
Dopo un ulteriore, graduale calo dal 2010 al 2015, negli ultimi anni le cifre sono andate salendo. Nonostante una parallela crescita della capienza regolamentare delle strutture penitenziarie, ovvero dei posti da loro messi a disposizione, in Italia il numero di prigionieri ha continuato ad eccedere la capacità degli istituti.
Il sovraffollamento, un problema strutturale delle carceri italiane e europee
Il sovraffollamento carcerario, ovvero l’eccesso nel numero di detenuti effettivi rispetto alla capienza regolamentare dell’istituto, è una condizione che accomuna vari paesi membri dell’Ue.
Sono molti gli stati europei colpiti da questo problema. Secondo il consiglio d’Europa , dietro a questo fenomeno c’è il fatto che in molti paesi Ue c’è stata una progressiva estensione della gamma di crimini considerati punibili con la detenzione, ad esempio gli atti di microcriminalità, ma che allo stesso tempo è mancata una riorganizzazione del sistema carcerario tale da rispondere a queste modifiche.
Alcuni stati si sono attrezzati con nuove prigioni, o comunque hanno aumentato la propria disponibilità di posti. Una soluzione che se da un lato risponde almeno in parte al problema del sovraffollamento, dall’altro chiaramente non agisce sul tasso di reclusione. Una situazione aggravata anche dall’aumento della durata media delle pene.
In altre parole, si tratta di paesi dove il numero totale di detenuti supera il numero totale di posti disponibili, generando sovraffollamento carcerario. Un fenomeno che in Italia registra il dato peggiore d’Europa, con circa 120 detenuti ogni 100 posti disponibili, superato negativamente solo da Cipro (134,6 su 100). Il paese che al contrario presenta il minor numero di detenuti effettivi rispetto ai posti disponibili è la Germania (69 su 100).
Cipro e Italia sono i paesi Ue con le carceri più sovraffollate
Detenuti ogni 100 posti nei paesi Ue (2020)
Se analizziamo i numeri relativi ai singoli istituti penitenziari italiani, vediamo che la situazione è diversificata a livello regionale.
Il Friuli Venezia Giulia, in particolare, è la regione con le carceri più sovraffollate, con un tasso di occupazione pari al 139,5%. È seguita sotto questi aspetto da Puglia (127,4%) e Lombardia (126,4%).
La Lombardia è anche la regione in cui, in numeri assoluti, è recluso il numero più elevato di persone (7.763) oltre a disporre della maggiore capienza (6.139 posti), ed è anche la regione con più detenuti rispetto alla capienza regolamentare delle sue strutture (1.624 detenuti in più rispetto ai posti disponibili), essendo anche la regione più popolosa d’Italia.
Il Friuli Venezia Giulia è la regione con le carceri più sovraffollate
Le regioni italiane per numero di posti occupati rispetto a quelli disponibili, e il numero di istituti penitenziari (2021)
Solo in 7 regioni italiane (circa 1 su 3) le carceri non sono sovraffollate. In particolare in Sardegna, i cui istituti nel 2021 disponevano di 559 posti non occupati, mentre come tasso di occupazione la precede soltanto la Valle d’Aosta (75,5%). La Sicilia, seguita dalla Lombardia, è invece la regione con il maggior numero di prigioni (23).
Il sovraffollamento, una questione di diritti umani e di tutela sanitaria
La detenzione è già di per sé una condizione problematica e drammatica per le persone che la vivono, sia per ciò che possono subire nelle carceri, a livello mentale e fisico, sia per le gravi difficoltà di reinserimento nella società una volta usciti, che spesso portano a recidive. Il sovraffollamento in questo senso forza i detenuti a condividere uno spazio più ristretto, aggravandone ulteriormente la qualità della vita.
In questo senso, il comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti dichiara che ogni detenuto deve avere a disposizione uno spazio vitale di almeno 4 metri quadri.
Garantire spazi sufficienti è una questione di diritti fondamentali della persona, di rispetto della sua privacy. Ma è anche una questione rilevante da un punto di vista sanitario.
Questo aspetto ha infatti giocato un ruolo particolarmente significativo durante la pandemia. Gli spazi ridotti, insieme alle scarse condizioni igieniche all’interno delle strutture, hanno reso difficile il rispetto dei protocolli sanitari, in primis il distanziamento sociale. Così è aumentata esponenzialmente la probabilità di contagio, e il contesto carcerario è risultato non solo non protetto, ma anzi particolarmente esposto al virus.
Nella fase iniziale dell’emergenza, con l’arrivo delle prime restrizioni per i carcerati tra cui la sospensione dei colloqui con i familiari, queste vulnerabilità strutturali sono esplose, dando luogo in Italia a proteste anche violente da parte dei detenuti. Dietro alla loro frustrazione c’era il fatto che le regole di distanziamento sociale, da tutti considerate misure eccezionali e senza precedenti, per loro andavano ad aggravare una situazione che già prima del Covid-19 era di forte isolamento sociale.
Tra il 7 e il 10 marzo 2020 in Italia ci sono infatti state delle rivolte che, secondo i dati di Antigone , hanno coinvolto circa 6mila prigionieri in 49 diversi istituti e che hanno portato alla morte di 14 di loro, oltre che al ferimento di più di 40 agenti della polizia penitenziaria, alla distruzione di intere sezioni di alcune strutture carcerarie e all’evasione di decine di persone detenute nel carcere di Foggia.
Le misure prese dai sistemi penitenziari europei
Se in un primissimo momento, con l’arrivo della pandemia, i contagi nelle prigioni erano molto contenuti, è bastato poco tempo perché la situazione esplodesse. L’Italia come tutti gli altri paesi Ue ha affrontato la questione introducendo una serie di misure perlopiù restrittive, volte al contenimento della pandemia.
Le prime restrizioni sono arrivate in Italia già a febbraio 2020, quindi prima ancora dell’introduzione del lockdown generale.
Sono stati sospesi in gran parte i colloqui con i familiari e gli ingressi esterni di persone con cui i detenuti svolgevano attività lavorative, educative, formative e ricreative. Persino la ricezione di pacchi è stata interrotta.
In seguito alla proclamazione dello stato di emergenza, queste misure si sono poi ulteriormente inasprite, fino ad arrivare alla sospensione totale dei colloqui e dei permessi di uscita per i carcerati stessi. Il fine era quello di evitare qualsiasi possibile contatto tra figure interne ed esterne al contesto carcerario. Ma se da una parte questo può aver contribuito a contenere i contagi, dall’altra ha anche acuito la frustrazione dei detenuti stessi sbarrando un luogo già chiuso. Un effetto che si è cercato di mitigare, anche se in maniera insufficiente, attraverso una serie di misure cosiddette compensatorie. Come il permesso per i detenuti di ricorrere maggiormente a chiamate e videochiamate, per bilanciare la cessazione dei colloqui.
Questo fenomeno si è verificato anche negli altri paesi Ue. Alcuni hanno inoltre introdotto misure cosiddette esterne o deflattive, orientate alla riduzione della pena, alla sua trasformazione o direttamente all’indulto.
Contro il Covid-19 nelle carceri, i paesi Ue hanno adottato misure perlopiù restrittive
Misure adottate dagli stati Ue nelle carceri dall’inizio della pandemia, per tipologia
A imporre il maggior numero di misure restrittive è stata la Spagna (6), seguita sotto questo aspetto da Portogallo e Croazia (4). Il Portogallo è stato anche lo stato Ue ad aver implementato il numero più elevato di misure deflattive (5), seguito da Cipro e Francia (3). Mentre l’unico paese dell’Unione che ha introdotto più di una misura compensatoria per i carcerati è stato la Bulgaria (2).
Delle misure restrittive adottate a livello europeo, 12 erano relative alla sospensione dei permessi, 26 alla riduzione o sospensione totale dei colloqui, mentre 18 prevedevano la riduzione o sospensione delle attività e 6 del movimento all’interno degli istituti.
In generale, si può osservare che il numero di misure compensatorie non è neanche lontanamente paragonabile a quello delle misure restrittive. Mentre le prime sono state 17 in totale in tutti i paesi Ue, le seconde sono state ben 62, più della metà del totale di tutte le misure anti-Covid implementate nelle strutture carcerarie (104), secondo i dati raccolti da Edjnet.
In Italia, una misura deflattiva è stata applicata nei casi di pene inferiori ai 18 mesi (anche come mesi rimanenti di una sentenza più lunga). Il decreto legge 18/2020 prevedeva infatti per questi casi il trasferimento in strutture di assistenza e cura o direttamente presso l’abitazione del detenuto.
L’andamento dei contagi nelle prigioni
Secondo il monitoraggio condotto da Antigone , durante la prima ondata della pandemia, tra marzo e ottobre del 2020, si sono registrati pochi contagi nelle carceri italiane. Durante la seconda ondata (tra ottobre e dicembre del 2020) invece i numeri sono rapidamente saliti.
In corrispondenza della prima ondata anche il numero totale dei prigionieri aveva registrato un calo. In parte, questo è stato dovuto all’introduzione delle misure deflattive, ma a contribuire è stato anche anche il fatto che il lockdown ha ridotto le occasioni per i crimini tradizionali, come riporta il consiglio d’Europa . Invece nella seconda fase, accanto all’aumento dei contagi, c’è stata anche una ripresa nella crescita della popolazione carceraria. Una tendenza che ha accomunato quasi tutti i paesi Ue.
Infine, come è avvenuto anche per la popolazione non detenuta, con la terza ondata (da febbraio a giugno del 2021) c’è stato un progressivo calo dei contagi.
L’andamento dei contagi nelle carceri italiane
Il numero di casi positivi tra detenuti e staff, tra novembre 2020 e novembre 2021
L’andamento dei contagi ha registrato uno sviluppo simile anche tra lo staff degli istituti penitenziari. Per entrambi i gruppi, a partire da novembre 2020, ovvero il mese in cui il ministero della giustizia ha iniziato il monitoraggio, il numero di positivi è andato diminuendo fino a febbraio 2021, per poi risalire nel mese di marzo e gradualmente calare fino a oggi. Anche se nelle ultime settimane i numeri hanno ripreso a crescere.
In generale comunque il tasso di positività tra i detenuti si è attestato su cifre superiori anche rispetto a quelle riferite a tutta la popolazione. Secondo le analisi condotte da Antigone, ad aprile 2020 erano positivi 18,7 detenuti ogni 100mila, contro i 16,8 di tutta la popolazione. Analogamente, a dicembre dello stesso anno, risultavano contagiati dal virus 179,3 carcerati ogni 100mila contro 100,5 tra la popolazione totale, e a febbraio 2021 91,1 contro 68,3. Dati da cui emerge chiaramente la maggiore incisività del fenomeno tra i detenuti, rispetto alla media. Ma se questo è vero per l’Italia, non lo è per tutti gli stati Ue.
Tra questi spicca il Lussemburgo, dove il tasso di positività tra la popolazione totale era maggiore di quasi 6 punti percentuali rispetto alla popolazione detenuta (8,74% contro 3%). Seguono in questo senso Repubblica Ceca e Spagna, con una differenza tra i due gruppi considerati di oltre 5 punti.
Infine, gli altri paesi dove, analogamente all’Italia, il Covid-19 ha colpito mediamente la popolazione totale più di quella carceraria sono Francia, Austria, Irlanda, Germania, Bulgaria, Danimarca e Ungheria.
I decessi da Covid negli istituti penitenziari
Secondo Antigone , il contesto sanitario delle prigioni era già precario prima dell’arrivo del Covid. Nel 2019, ogni struttura penitenziaria disponeva in media di appena 1 medico di base ogni 315 reclusi, e nel 70% dei casi si trattava di lavoratori precari. Risorse insufficienti per gestire un ambiente spesso insalubre oltre che affollato, e popolato anche da persone affette da condizioni pregresse.
Infatti molte patologie, come le malattie psichiatriche o infettive, ma anche i problemi cardiaci, l’epatite, il diabete e la tossicodipendenza, hanno mediamente un’incidenza più elevata nella popolazione carceraria. In parte questo è dovuto alle condizioni socio-economiche, inferiori alla media, della maggior parte dei detenuti, che hanno una forte correlazione con le cattive condizioni di salute.
La pandemia si è quindi inserita in un contesto già difficile da un punto di vista sanitario e lo ha aggravato, considerando anche che la presenza di altre malattie può acuire i rischi legati alla contrazione del Covid.
Secondo i dati raccolti da Ristretti orizzonti , che conduce un’azione di monitoraggio dei decessi all’interno delle carceri, 21 detenuti hanno perso la vita a causa del virus da novembre del 2020 a oggi.
Sono 4 i detenuti morti per Covid solo nelle carceri di Milano
I decessi da Covid-19 negli istituti penitenziari italiani
Quello del capoluogo lombardo è il numero più alto (di cui 2 decessi a San Vittore, 1 nella struttura di Bollate e 1 a Milano Opera). Seguono poi i 3 decessi registrati nell’istituto penitenziario di Catanzaro e altrettanti nelle carceri di Napoli (2 a Poggioreale e 1 a Secondigliano).
La campagna vaccinale tra i detenuti
La commissione europea , come altre istituzioni internazionali, ha sottolineato l’importanza di considerare i detenuti una categoria prioritaria nell’ambito della campagna vaccinale, proprio per via della difficoltà a mantenere il distanziamento sociale all’interno delle strutture penitenziarie.
Secondo i dati raccolti da Edjnet, la maggior parte dei paesi Ue non ha però riconosciuto l’accesso prioritario ai vaccini a questa categoria di persone. Tra i paesi analizzati, questo è il caso di Francia, Belgio, Germania, Danimarca, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Estonia e Grecia. Mentre Spagna, Italia, Lettonia, Irlanda e Bulgaria lo hanno garantito.
In Italia, le vaccinazioni dei detenuti e dello staff penitenziario sono iniziate a marzo del 2021.
La vaccinazione dei detenuti in Italia
Il numero di dosi di vaccino anti-Covid somministrate tra novembre 2020 e novembre 2021
I dati italiani, forniti dal ministero della giustizia, si riferiscono però solo alle dosi di vaccino amministrate, senza fare riferimento al numero di persone che hanno completato il ciclo vaccinale. Questo rende difficile un confronto a livello europeo.
A fine novembre 2021, risultano amministrate circa 84mila dosi di vaccino e verosimilmente circa 40mila detenuti hanno completato il ciclo. Mentre, sempre secondo i dati forniti dal ministero della giustizia, in 25mila nel personale penitenziario sono stati avviati alla vaccinazione.
Soprattutto in vista della nuova ondata, che già nello scorso novembre 2021 ha portato a un rilevante aumento dei contagi, l’avanzamento della campagna vaccinale all’interno delle carceri rimane un obiettivo fondamentale.