La fine del paradiso fiscale svizzero?
In Svizzera l'attività delle banche europee segna un'importante battuta di arresto. Di fatto la Confederazione appare come un centro finanziario sempre meno redditizio.
La fine del paradiso fiscale svizzero?
In Svizzera l’attività delle banche europee segna un’importante battuta di arresto. Di fatto la Confederazione appare come un centro finanziario sempre meno redditizio.
Impegnata in un processo di snellimento e di riforma del suo sistema di segreto bancario per la clientela straniera, la Svizzera sta progressivamente perdendo il suo posto di prima piazza finanziaria per la gestione patrimoniale.
Le filiali delle banche straniere stanno progressivamente lasciando il paese. Nel 2008 un rapporto della Banca nazionale svizzera registrava la presenza di 154 istituti e succursali straniere sul territorio, ma questo numero è sceso a 107 nel 2016. Nel frattempo i depositi in denaro di clienti non residenti si sono ridotti del 6,4 per cento nel 2015. E anche se la percentuale di questi depositi ha ripreso a crescere nel 2016, la tendenza al ribasso è continuata nelle banche straniere.
I numeri pubblicati nei rapporti relativi a ogni paese dalle 20 principali banche dell’Unione europea confermano questa contrazione del volume delle loro attività, a tal punto che la Svizzera è diventata una delle destinazioni meno redditizie per le operazioni offshore di questi istituti, rispetto ad esempio a paesi come l’Irlanda o il Lussemburgo. Diversi elementi mostrano un rallentamento dell’attività e della remuneratività di questi istituti nella Confederazione. Nel 2015 il deficit delle prime 20 banche europee era di 228 milioni di euro, mentre nel 2016 arrivava a 285 milioni.
Nel 2017 la Svizzera ha cercato di avvicinarsi agli standard internazionali. La redditività delle banche europee nella Confederazione si è collocata al 12,5 per cento nel 2017. Questo significa che le banche europee hanno realizzato un guadagno di 12,5 euro per 100 euro di fatturato: un dato che si avvicina più alla media internazionale che alla media dei paradisi fiscali. Altri paesi considerati paradisi fiscali, come l’Irlanda o il Lussemburgo, mostrano dei tassi di redditività rispettivamente del 31,3 e del 64,4 per cento.
Allo stesso modo, la produttività dei dipendenti delle banche europee in Svizzera sembra più bassa rispetto ad altri paesi. In Svizzera nel 2017 un dipendente di banca ha generato in media 49.300 euro di profitti. In confronto, nel corso dello stesso anno, i dipendenti di queste stesse banche sono stati quattro volte più produttivi in Irlanda e nove volte in Lussemburgo.
La riduzione degli effettivi è il secondo elemento di questo ritiro delle banche straniere. Il numero dei loro dipendenti si è molto ridotto fra il 2015 e il 2017, passando da 7.739 a 6.693 posti equivalenti a tempo pieno.
L’adozione della regolazione dello scambio automatico di informazioni a fini fiscali spiega questo declino dell’attività delle banche svizzere. Sotto la pressione internazionale la Svizzera ha firmato delle convenzioni di scambio con gli Stati membri dell’Unione europea, con gli Stati Uniti (Fatca) e con i firmatari del modello di accordo multilaterale elaborato dall’Ocse, rendendo meno rigide le regole che riguardano il segreto bancario. Queste misure hanno reso più difficile l’evasione fiscale e oggi “il mito della persona che va in Svizzera con la valigia piena di contanti ha poco a vedere con la realtà”, spiega Manon Aubry, portavoce di Oxfam.
Grazie all’adozione di queste misure, l’Ue ha inserito la Svizzera solo nella sua lista grigia dei paradisi fiscali, cioè nella lista che riguarda “i paesi che hanno preso degli impegni e che devono essere seguiti”. Una decisione che non sembra del tutto giustificata, perché “la Svizzera sta cambiando e sta passando da un paradiso fiscale per i privati a un paradiso fiscale per le imprese”, avverte Manon Aubry. Per rispettare i criteri dell’Ocse, il governo svizzero sta cercando di riformare il sistema fiscale delle imprese presenti nella Confederazione. Una serie di misure che però secondo un rapporto del Consiglio delle Nazioni unite per i diritti dell’uomo “mira a mantenere una bassa fiscalità per le multinazionali e le altre imprese”.
A sua volta l’associazione Tax Justice Network mantiene la Svizzera al primo posto dei paradisi fiscali nella sua classifica del 2018 . L’organismo osserva che, benché le concessioni fatte portino una certa trasparenza nel regime del segreto bancario svizzero, si possono sintetizzare in: “denaro pulito per i paesi ricchi e potenti; denaro sporco per i paesi in via di sviluppo e vulnerabili”. In altre parole lo scambio di informazioni fra la Svizzera e un paese terzo viene fatto solo verso i paesi ricchi e molto meno verso i paesi poveri.
In questo modo la Svizzera si allontana dai clienti che vivono nell’Ue per concentrarsi sui clienti ricchi dei paesi che non hanno firmato accordi di scambio di informazioni. Per questo motivo “è del tutto ingiustificato togliere la Svizzera dalla lista dei paradisi fisali”, assicura Manon Aubry. In ogni modo la Svizzera rimane il primo paese per quanto riguarda la gestione patrimoniale. Grazie agli Swiss Leaks , i recenti scandali della Fifa o della banca Hsbc, è stato possibile mostrare fino a che punto “il segreto bancario svizzero continui a essere pericoloso per i diritti umani”, spiega il rapporto di Tax Justice Network.