L’Unione europea è un nuovo attore sul mercato della vendita di armi?
I 13,6 miliardi di euro destinati al Fondo comune per la Difesa europea mettono in discussione la natura dell'Ue come progetto di pace. Il timore è che un simile investimento serva a finanziare un esercito - o quanto meno un contesto politico adeguato per la sua creazione - e contribuirà a una nuova corsa agli armamenti.
L’Unione europea è un nuovo attore sul mercato della vendita di armi?
I 13,6 miliardi di euro destinati al Fondo comune per la Difesa europea mettono in discussione la natura dell’Ue come progetto di pace. Il timore è che un simile investimento serva a finanziare un esercito – o quanto meno un contesto politico adeguato per la sua creazione – e contribuirà a una nuova corsa agli armamenti.
Cinque anni fa presso la National Defence University, Barack Obama pronunciava il suo primo importante discorso sulla lotta contro il terrorismo del suo secondo mandato e annunciava un cambiamento nell’uso dei droni da parte dell’amministrazione di Washington: “Dire che una tattica militare è legale o persino efficace, non significa dire che sia saggia o etica in ogni circostanza. Lo stesso progresso umano che ci fornisce una tecnologia tanto potente richiede anche una disciplina per contenerlo o si rischia di abusarne.”
Parole quasi premonitrici, quelle dell’ex Presidente degli Stati Uniti: recentemente l’esercito statunitense, dopo averlo negato, ha ammesso che una donna e un bambino sono stati uccisi da un bombardamento aereo americano in Somalia lo scorso anno. Da quando quel discorso è stato pronunciato non solo c’è un nuovo inquilino a Washington ma l’approccio alla guerra si è evoluto in tutto il mondo e l’utilizzo dei droni a scopo bellico è sempre più diffuso.
Con la creazione del Fondo europeo di Difesa (Edf), con un finanziamento da 13,6 miliardi che sarà in vigore fino al 2027, la situazione potrebbe ulteriormente cambiare. Gli esperti del Peace Research Institute di Oslo (Prio) sostengono che l’Edf “possa potenzialmente mettere in seria discussione la natura dell’Unione europea, intesa come progetto di pace”.
Quali sono le ragioni intrinseche che possono condurre a sviluppare una nuova difesa europea? E che cosa sta facendo la società civile per richiamare l’Ue alle sue responsabilità?
Ci sono opinioni diverse riguardo agli investimenti dell’Unione nella ricerca militare. “Penso che investire denaro in attività di ricerca e sviluppo anche nel campo delle tecnologie per la difesa non sia necessariamente una cosa negativa,” afferma Bruno Oliveira Martins, senior researcher al Prio di Oslo. “Ma per fare in modo che sia accettabile e con somme di questo tipo serve maggiore trasparenza: le persone devono conoscere le regole in base alle quali i fondi saranno assegnati o i criteri con cui verranno selezionati i progetti. È importante che sia il Parlamento europeo sia i parlamenti nazionali siano più informati di quanto lo sono attualmente”.
L’Unione europea, in particolare, ha cominciato intorno al 2015 a sostenere progetti riguardanti sistemi automatici e le tecnologie correlate. Gran parte dei finanziamenti è destinata a sistemi marittimi computerizzati, in particolare per i droni marini nel Mar Mediterraneo. Finora , i fondi sono stati utilizzati per ragioni classificate come “sicurezza”, ma non sono mai stati esplicitamente indirizzati ai droni per scopi militari.
In giugno 2018, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini ha proposto la creazione dello Strumento europeo per la pace (European Peace Facility, Epf). Questa operazione ha aperto la strada a un più ampio coinvolgimento dell’Unione europea nell’assistenza alle forze di sicurezza, anche attraverso lo stanziamento di fondi per sostenere l’acquisto di armi letali e la fornitura di formazione, attrezzature o infrastrutture.
Fornite dalla Direzione generale del Mercato interno, dell’industria, dell’imprenditoria e delle Pmi (Grow) in Commissione, il nuovissimo Fondo per la difesa assegnerà tra il 4 e l’8 per cento della propria capacità totale alle “innovazioni dirompenti e ad alto rischio che daranno un nuovo impulso alla storica leadership tecnologica dell’Europa e alla difesa dell’autonomia”. Non è chiaro che cosa si qualifichi come “tecnologia dirompente” (disruptive defence technologies, ndr), un concetto introdotto da Clayton M. Christensen, studioso americano, consulente aziendale e leader religioso, che si contrappone al concetto di “tecnologia autosufficiente”. Nel regolamento dell’Edf, “una tecnologia dirompente per la difesa” in buona sostanza si definisce come una tecnologia in grado di indurre un cambio radicale o addirittura un cambiamento epocale nella concezione e nella modalità di gestione della difesa.
Mancanza di trasparenza
Oliveira Martins e Raluca Csernatoni, quest’ultima dell’Istituto di studi europei della Vrije Universiteit Brussel (l’università di lingua fiamminga di Bruxelles), hanno esaminato l’Edf nel documento di sintesi che evidenzia quanto l’ambiguità sia un problema ricorrente.
La Commissione europea non ha nemmeno fornito specifiche linee guida, ma ha invitato a presentare domanda per “prodotti soluzioni, materiali e tecnologie innovativi per la difesa” e ha poi elencato 34 esempi inerenti, compreso “lo sviluppo di funzionalità anti-Uas (unmanned aerial systems, ovvero i droni) basato su mini- sciami di Uas”. Un’edizione 2017 della rivista pubblicata dall’Agenzia europea per la difesa (Eda) ha identificato le dieci maggiori innovazioni “dirompenti” sulla difesa, tra cui il sistema di difesa, le armi e il processo decisionale autonomi.
Nel contesto dell’azione preparatoria sulla ricerca in materia di difesa , ci sono due temi che riguardano le tecnologie dirompenti sulla difesa: da una parte, bandi di gara per l’utilizzo di tecnologie emergenti, come la tecnologia dei quantum o l’intelligenza artificiale per le applicazioni nella difesa; dall’altra, sono previsti bandi di gara per progetti di ricerca all’avanguardia, ad alto rischio e alto rendimento, cosa che che cambierebbe le carte in tavola e che sarebbe “dirompente” in un contesto realistico di difesa.
Una buona formulazione potrebbe essere “equipaggiamento e tecnologie militari”, intendendo tutto, dal proiettile fino all’arma che lo spara e il sistema utilizzato per identificare l’obiettivo. Per quanto gli stati membri dell’Unione europea abbiano sempre dovuto proteggere se stessi e i propri interessi, la necessità ora è anche stata esacerbata dalla continua instabilità alle frontiere e dall’incertezza riguardo al sostegno degli Stati Uniti all’interno della Nato.
E, in effetti, il vice segretario generale per la politica di sicurezza e di difesa comune (Csdp) e la risposta alla crisi da parte del servizio europeo di azione esterna (Eeas), con a capo Pedro Serrano, ha incoraggiato la prospettiva di un’Unione forte. In un documento chiamato “Il fascio di bastoni: una difesa europea più forte per affrontare le sfide globali”, Serrano cita altri due strumenti sviluppati dall’Ue per assistere e sostenere la cooperazione: la Cooperazione strutturata permanente (Pesco), attraverso la quale gli Stati si impegnano a investire di più nella difesa e a farlo in maniera congiunta, e la Revisione coordinata annuale sulla difesa (Card), un monitoraggio periodico dei piani di difesa nazionale. “Tenendo presente la natura e la portata delle sfide future, risulta chiaro che solo operando congiuntamente gli stati membri Ue saranno in grado di affrontare le sfide future e disporranno di un efficace capacità di lavorare con altri grandi attori a livello mondiale”, ha scritto Serrano.
Questa cooperazione potrà essere volta a esplorare innanzitutto le tecnologie. Le imprese private possono far domanda all’Edf come per qualsiasi altro bando di gara. Se rispettano determinati criteri riferiti a trattati ben stabiliti che impediscono la proliferazione delle armi proibite (come le armi chimiche e biologiche), gli sviluppatori saranno assistiti e progetteranno i loro prodotti.
Il controllo del commercio è l’aspetto cruciale perché le armi sono pericolose per definizione e dovrebbe essere previsto un controllo. “I progetti fabbricati dovrebbero quindi essere di proprietà della società, la quale li venderà agli stati membri,” spiega Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo. “Ed è proprio questo il punto: la proprietà intellettuale non sarà dell’Ue, quindi l’Unione fornisce loro i fondi per fare qualcosa e di base regala il controllo sin dall’inizio.”
Nel 2015, la necessità di cooperare per affrontare le preoccupazioni sulla proliferazione dell’uso dei droni armati ha portato alla creazione del Forum europeo sui droni armati (Efad) : una rete di organizzazioni della società civile che collaborano per promuovere i diritti umani e lo stato di diritto.
“La nostra preoccupazione era che queste tecnologie, dato il basso rischio per gli stati, faciliteranno l’uso di una piccola forza senza alcun controllo sugli effetti degli attacchi” afferma Wim Zwijnenburg, il leader del progetto di disarmo umanitario presso l’Ong PAX e coordinatore dell’Efad. “I droni armati non erano conosciuti tra le organizzazioni della società civile che lavorano con l’Unione europea, ma hanno lentamente cominciato ad ottenere più attenzione dopo il 2012, quando sono stati pubblicati nuovi rapporti sul loro impatto e la loro proliferazione”.
Il Forum ha creato un invito ad agire e varie dichiarazioni sull’uso dei droni da parte dei paesi europei, oltre ad aver organizzato vari incontri e conferenze su questo argomento.
“Nel corso di oltre un decennio, Amnesty International e altre Ong hanno documentato gli attacchi illegali coi droni e hanno spiegato come questi attacchi abbiano violato il diritto alla vita, a volte concretizzati in esecuzioni extragiudiziali e altre uccisioni illegali”, aggiunge Ella Knight, attivista della squadra militare, di sicurezza e di polizia di Amnesty International e membro di Efad. “Abbiamo anche visto che il loro uso è stato caratterizzato da una mancanza di trasparenza e di affidabilità, poiché i superstiti di un attacco con drone e le famiglie delle vittime hanno fatto fatica ad accedere alla giustizia e a rimedi efficaci”.
Corsa agli armamenti
Come diretta conseguenza della mancanza di trasparenza, è difficile contare i droni già esistenti e a disposizione. Sulla base delle informazioni open-source disponibili, ci sono almeno circa 426 sistemi aerei computerizzati (armati e disarmati) in Europa oppure in procinto di essere acquistati da parte degli stati europei.
Per ridurre la frammentazione, molti suggeriscono che l’Unione europea dovrebbe ambire a sviluppare un proprio esercito. L’argomento è tornato attuale durante la campagna elettorale per le europee e ha generato alcuni scontri tra i candidati. Guy Verhofstadt dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (Alde) si è mostrato a favore in diverse occasioni. Analogamente, il conservatore tedesco Manfred Weber ha sostenuto l’ambizione della Cancelliera Angela Merkel di un esercito multinazionale permanente.
Questo scatena un’altra critica: mentre una strategia comune potrebbe significare un risparmio significativo ma non è ancora in discussione, il problema con l’Edf è che potrebbe fornire le armi prima di creare l’esercito e persino prima del contesto politico. I rappresentanti dell’Ue sostengono che si tratta di un tratto tipico dell’Unione lasciare che siano i mercati a intraprendere il processo verso una maggiore integrazione. La società civile, al contrario, suggerisce che il Fondo contribuirà a una nuova corsa agli armamenti.
“Un obiettivo di fondo è quello di aumentare la competitività dell’industria militare europea a livello globale”, dice Laëtitia Sédou, responsabile del programma Ue presso la Rete Europea contro il Commercio di Armi (ENAAT): “La proliferazione degli armamenti incoraggia l’uso della forza non le soluzioni pacifiche”.
ENAAT era responsabile di un ricorso al mediatore europeo Emily O’Reilly, riguardante il gruppo di personalità che si occupano dell’azione preparatoria per la sicurezza comune e la la ricerca correlata in politica di difesa. Convocata nel marzo 2015 dal commissario per il mercato interno, industria, l’imprenditoria e le Pmi, il gruppo era composto da sedici membri e include le persone che lavorano al momento per il settore della difesa e i centri di ricerca a beneficio del finanziamento (9 membri su 16), gli organi politici, come i membri del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali e la Commissione. Alla fine, il Mediatore ha stabilito che, considerando la sua composizione, sarebbe difficile per il Gruppo di personalità essere considerato come un “gruppo di esperti”. Ma ha anche suggerito che per il futuro la Commissione dovrebbe garantire lo stesso livello di trasparenza per questi gruppi informali come quello richiesto per gruppi di esperti formali, al fine di rafforzare la fiducia dell’opinione pubblica nel suo lavoro.
Segnali allarmanti provenienti dall’estero
Se pensiamo agli Stati Uniti, ci sono alcune avvertimenti. Le vittime civili degli attacchi aerei dal 2002 raggiungono almeno le 774 unità, secondo il Bureau of Investigative Journalism. Tuttavia, Trump ha revocato la norma creata da Obama sul riportare il numero di morti a seguito di attacchi con droni al di fuori delle “zone conclamate di ostilità attiva” e ha abbassato gli standard di “minaccia” rimuovendo la condizione che il bersaglio di un terrorista deve rappresentare una minaccia imminente per i cittadini statunitensi. Nel suo articolo “European defence fund and European drones: mirroring US practices? ”, Delina Goxho, consulente esterno sui droni armati e la protezione dei civili per Open Societies Foundation e per l’Ong Pax, sostiene che “l’Unione europea sia stata costruita su un insieme di valori che verrebbero annullati […] se l’Europa non ha approva misure di salvaguardia e stabilisce regole di ingaggio che sfidano apertamente le pratiche statunitensi nelle missioni all’estero”.
Per concludere, il neoeletto Parlamento europeo dovrà lottare per la trasparenza e la società civile dovrà ricordarlo ai deputati. “Qualunque cosa accada nell’ottica di fornire più finanziamenti o capacità militare, dovrà andare di pari passo con misure di attenuazione,” dice Beatrice Godefroy, direttrice europea presso il Center for civilians in conflict (Civic).
“L’implementazione di standard più elevati per la protezione dei civili nelle transizioni di armamenti è già difficile per un singolo paese: mi chiedo come l’Ue, entrando in questo gioco, gestirà la complessità di 27 paesi”.
https://voxeurop.eu/en/2019/defence-5123366