L’impegno ecologico delle aziende alimentari, tra promesse e realtà
Gli imballaggi in plastica sono nocivi per l’ambiente e ridurli è uno degli obiettivi dell’Ue. Di conseguenza negli ultimi anni molte aziende hanno avanzato promesse in questo senso, ma non sempre le hanno mantenute.
L’impegno ecologico delle aziende alimentari, tra promesse e realtà
Gli imballaggi in plastica sono nocivi per l’ambiente e ridurli è uno degli obiettivi dell’Ue. Di conseguenza negli ultimi anni molte aziende hanno avanzato promesse in questo senso, ma non sempre le hanno mantenute.
La plastica è uno dei materiali maggiormente utilizzati per il confezionamento dei prodotti e al contempo è tra i più pericolosi per l’ambiente. Per questo molte aziende del settore alimentare e delle bevande manifestano l’intenzione di ridurne l’uso o anche di eliminarla del tutto. In molti casi però si tratta di promesse che non si traducono in azioni concrete.
Insieme ad altre redazioni che fanno parte dello European data journalism network, guidati da Deutsche Welle abbiamo ricostruito, attraverso i dati, quali promesse sono state fatte e quante aziende le hanno effettivamente mantenute, mostrando coerenza con i propri obiettivi.
Gli imballaggi in plastica, una minaccia per l’ambiente
Come afferma la European environmental agency (Eea ), la plastica è un materiale estremamente dannoso per l’ambiente. In primo luogo, la produzione di plastica necessita di grandi quantità di combustibili fossili. Circa 13,4 milioni di tonnellate di Co2 sono emesse ogni anno in Ue esclusivamente per questa ragione.
A questo si aggiunge il pericolo che l’esposizione a questo materiale comporta, per la salute degli esseri umani ma anche degli animali. Nonché il suo difficoltoso smaltimento. Le plastiche richiedono infatti tempi lunghissimi per disintegrarsi e rilasciano nell’ambiente numerosi frammenti, detti appunto microplastiche per le loro dimensioni estremamente ridotte. Questi minuscoli pezzi possono penetrare nei sistemi respiratorio e digerente causando numerose malattie. Nel mondo animale, l’ingestione di microplastiche può portare a perdite di esemplari, minando la biodiversità.
Si tratta del 15% di tutta la produzione a livello globale. Negli ultimi anni si è registrato un lieve calo: nel 2017, che ha costituito il picco, le tonnellate ammontavano a 64,4 milioni.
Gli imballaggi in particolare, dedicati al contenimento e alla protezione dei prodotti, costituiscono il 40,5% di tutta la domanda di plastica in Ue, sempre secondo i dati Plastics europe. La plastica è infatti un materiale particolarmente pratico per questo tipo di utilizzo, essendo leggera, economica e funzionale.
Irlanda, Germania, Lussemburgo e Italia in particolare sono i 4 paesi Ue in cui nel 2019 è stato prodotto il quantitativo più elevato di rifiuti di questo tipo: parliamo di più di 200 chilogrammi pro capite di imballaggi – contro una media Ue pari a 178 kg.
Di questi, 145,84 kg pro capite sono stati riciclati, circa il 67%. Un dato che si attesta leggermente al di sopra della media dei paesi membri. Attualmente, in Ue viene riciclato meno del 65% di tutta la plastica da imballaggio.
Dal 2016 è in leggero calo la quota di imballaggi in plastica riciclati
La quota di imballaggi di plastica riciclati nei paesi Ue (2005-2019)
Fonte: elaborazione Openpolis su dati Eurostat
Dal 2005, la quota di imballaggi in plastica riciclata è andata gradualmente aumentando, passando dal 54,7% ad un picco pari al 67,6% nel 2016. Da allora in poi però la percentuale si è gradualmente ridotta, arrivando nel 2019 al 64,4%.
L’Unione europea e il contrasto all’uso di plastica
Già a partire dagli anni ’90, la direttiva Ue 94/62 , specificamente in materia di imballaggi – detta appunto “direttiva sugli imballaggi” – stabiliva l’importanza di limitare l’utilizzo della plastica e di riutilizzare, recuperare e riciclare gli imballaggi. Misure implementate poi negli stati membri dai governi nazionali.
Negli anni, visto l’ampio utilizzo da una parte e l’impatto ambientale dall’altra, l’Ue ha poi imposto delle specifiche restrizioni sull’impiego di plastica monouso . Per favorire un maggior ricorso a materiali che abbiano una vita meno breve o che siano più facilmente riutilizzabili o recuperabili – in un’ottica di economia circolare.
La commissione europea ha infatti stabilito che “dal 3 luglio 2021 non sarà più possibile immettere sui mercati degli Stati membri dell’UE piatti, posate, cannucce, aste per palloncini e bastoncini cotonati di plastica monouso. Inoltre, la stessa misura si applica a tazze, contenitori per alimenti e bevande in polistirene espanso e a tutti i prodotti realizzati con plastica oxo-degradabile.”
Un obiettivo ribadito anche all’interno dell’iniziativa Zero waste europe , che auspica una riduzione dell’utilizzo di questo agente inquinante pari al 20% entro il 2025, per poi raggiungere il 50% nel 2050.
L’ultima iniziativa dell’Unione europea, risalente al luglio 2020 ma ancora non approvata, ha toccato il problema della concretizzazione degli impegni ecologici. La novità è il riconoscimento, da parte dell’Ue, del fenomeno del “greenwashing”, ovvero l’avanzamento di proposte solo apparentemente benefiche per l’ambiente, usate in realtà a puri scopi di marketing.
Per dare sostanza alle loro “affermazioni verdi”, le aziende sarebbero quindi tenute, secondo la recente iniziativa, a dimostrare, con una metodologia standard, l’effettivo impatto positivo sull’ambiente delle loro azioni. Per evitare le forme di ipocrisia e opportunismo, che nei fatti ostacolano il raggiungimento di un’economia verde e favoriscono gli interessi commerciali delle grandi corporazioni.
Le promesse delle aziende, e le loro azioni concrete
Come afferma l’organizzazione Break free from plastics , le grandi multinazionali sono tra i principali responsabili dell’inquinamento da plastica – in particolare quelle del settore alimentare e delle bevande, che per esigenze pratiche ma anche igieniche fa un uso particolarmente largo degli imballaggi. Molte di loro negli anni si sono impegnati a ridurre l’uso di plastica, tuttavia è importante capire sono impegni concreti e non greenwashing.
Dalla ricerca guidata da Deutsche welle e condotta da openpolis e altre redazioni di Edjnet, è emerso che le principali aziende europee del settore alimentare e delle bevande hanno fatto in totale 98 promesse, dal 2000 ad oggi, contenute nei loro report annuali di sostenibilità. Di queste, 61 sono future, ovvero hanno come riferimento un anno posteriore al 2021 (nella maggior parte dei casi il 2025).
Delle promesse sulla plastica, solo una su tre è stata mantenuta
Le promesse sulla riduzione dell’uso di plastica delle aziende alimentari nei paesi Ue (2000-2021)
Fonte: elaborazione Openpolis su dati EDJNet
Se escludiamo le promesse che hanno come obiettivo anni successivi al 2021, delle rimanenti 37 promesse il 35% (per un totale di 13) è stato infranto. Questo vuol dire che nel report di sostenibilità dell’anno di riferimento della promessa veniva riportato un risultato differente rispetto a quello precedentemente promesso.
In Italia ad esempio è il caso di Inalca, che nel 2018 aveva promesso di aumentare l’impiego di plastica riciclata per gli imballaggi, dal 20% al 30%. Una quota che invece nel 2020 risulta addirittura calata al 17%. Mentre Barilla aveva promesso la sostituzione del 100% degli imballaggi in plastica entro il 2020. Una promessa che, come fa sapere l’azienda, è riuscita a mantenere ma con tempistiche più lunghe e nel suo mercato principale: a luglio 2022 il gruppo ha comunicato di aver raggiunto in Italia l’obiettivo della totalità delle confezioni interamente riciclabili.
Solo 12 sono invece state le promesse mantenute, mentre lo stato delle restanti 12 è ambiguo.
Il 57% delle promesse riguardano il materiale di imballaggio
Le promesse delle aziende, per contenuto e stato della promessa (2000-2021)
Fonte: elaborazione Openpolis su dati EDJNet
Per quanto riguarda poi il contenuto delle promesse stesse, la maggior parte hanno come obiettivo un maggior utilizzo di materiali riciclati (29) e riciclabili (27). Mentre sono 19 quelle relative a una riduzione generale dell’uso di plastica, 11 quelle relative a una sostituzione (con materiali meno nocivi per l’ambiente, come la carta) e 9 quelle che riguardano il recupero della plastica utilizzata.
La poca trasparenza delle aziende italiane
Delineare un quadro italiano specifico è difficile per una semplice ragione: le promesse fatte sono particolarmente vaghe.
Le aziende analizzate nel corso della ricerca sono state: Aia, Cremonini, Veronesi, Barilla, Agricola tre valli, Inalca, Lavazza, Gesco (Amadori), Casillo e Granlatte, ovvero le prime 10 aziende italiane nel settore, per vendite, escluse le sussidiarie e quelle con sede in paesi esteri. Alle quali è stata aggiunta Ferrero, tra le principali aziende europee, ma con sede in Lussemburgo.
Nel complesso queste aziende hanno fatto un totale di appena 5 promesse sugli imballaggi in plastica, delle quali una futura, due infrante e due ambigue. Nessuna promessa è stata mantenuta. Per quanto riguarda invece Ferrero, sono 8 le promesse, delle quali solo 1 mantenuta, relativa all’aumento dell’utilizzo di rPet (ovvero plastica riciclata) negli imballaggi secondari, e 5 future.
Le cifre risultano particolarmente basse perché sono state escluse tutte le promesse che non avevano termini di riferimento sufficientemente chiari ed espliciti, tali da permettere di esaminare la coerenza dei risultati raggiunti. Molte non sono state altro che esaltazioni della sostenibilità e della riduzione delle emissioni di Co2, senza però fornire alcuna base per capire se si trattasse di un impegno reale o di parole vuote. Una vaghezza generalizzata sugli obiettivi che comporta l’impossibilità di verificarne la concretezza.