Il sistema di asilo europeo è in crisi
Il Regolamento di Dublino — la legislazione alla base del sistema di asilo europeo — è stato messo a dura prova: la stragrande maggioranza degli arrivi sono stati registrati in un numero ridotto di stati.
Il sistema di asilo europeo è in crisi
Il Regolamento di Dublino — la legislazione alla base del sistema di asilo europeo — è stato messo a dura prova: la stragrande maggioranza degli arrivi sono stati registrati in un numero ridotto di stati.
In un recente rapporto tratto dal database Aida, che raccoglie dati sulle questioni migratorie (l’acronimo sta per Asylum Information Database) sono stati ossevati in alcuni paesi europei i risultati delle procedure previste dal regolamento di Dublino sul diritto di asilo.
Il regolamento stabilisce che lo stato membro incaricato di esaminare la domanda d’asilo è il primo in cui il richiedente arriva in Europa: di conseguenza gli stati membri, in accordo con il regolamento, si inviano reciprocamente “richieste” per l’accettazione della responsabilità di una domanda d’asilo.
I dati statistici mostrano le percentuali di richieste in entrata (il paese “A” registra richieste ricevute da altri paesi) e richieste in uscita (il paese “B” registra richieste inviate ad altri paesi).
La Germania ha avuto il numero annuo più alto di richieste d’asilo dal 2015 al 2018, con più di 745mila domande nel 2016 e più di 222mila nel 2016. Questo significa che Berlino ha emesso il numero più alto di richieste in uscita nei tre anni in considerazione, con più di 63mila richieste nel solo anno 2017. Nonostante l’ingente numero di richieste, la Germania è stato anche il secondo paese a ricevere più richieste in entrata, con quasi 27mila domande.
Analogamente, l’Italia nel 2017 è stata il terzo paese col più elevato numero di richieste d’asilo (126.376) e tuttora ha 26.627 richieste in entrata, mentre ha inviato soltanto 2.481 richieste in uscita.
Sostanzialmente pochi paesi stanno ricevendo un’enorme quantità di richieste d’asilo e, allo stesso tempo, un un elevato numero di richieste in entrata. E sono questi stessi paesi a fare più richieste di uscita, anche se solo un numero limitato di queste si sta trasformando in effettivi trasferimenti.
Delle 63.326 e 41.253 richieste in uscita inviate rispettivamente da Germania e Francia, solo il 6 per cento è diventato un effettivo trasferimento (rispettivamente 3.766 e 2.633).
Tra i paesi che hanno presentato più di 1.000 richieste, è la Danimarca ad aver raggiunto il tasso di più alto di trasferimenti in rapporto alle domande: il paese ha presentato 1.834 richieste in uscita e, di queste, il 55 per cento è stato realizzato.
Per quanto riguarda i trasferimenti in entrata, quattro paesi europei (Italia, Germania, Francia e Polonia) hanno totalizzato insieme il 60 per cento dei trasferimenti in entrata totali nel 2017. L’Italia, in particolare, ha avuto il più alto numero di trasferimenti in entrata, con l’arrivo di 5.678 richiedenti asilo.
Sono diverse le norme contenute all’interno del Regolamento di Dublino che disciplinano le richieste in uscita.
Secondo il rapporto Aida, “l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha trovato elementi di incoerenza nell’osservanza da parte dei paesi europei della gerarchia dei criteri: molti ignorano il primato delle norme sulla famiglia e/o applicano condizioni restrittive per rigettare le richieste in entrata presentate su queste basi. Al contrario, le autorità tendono a dare priorità ai criteri relativi all’ingresso.”
In Germania, nel 64 per cento dei casi le norme di “restituzione” sono la base giuridica delle richieste in uscita. Solo il 4 per cento delle richieste sono presentate considerando i regolamenti relativi ai ricongiungimenti familiari.
Analogamente, dei paesi che hanno presentato più di 1.000 richieste in uscita, l’Italia e la Romania hanno utilizzato le norme di restituzione in più del 90 per cento delle richieste, realizzando rispettivamente solo l’1,4 per cento e lo 0,2 per cento delle proprie richieste sulla base delle norme relative ai ricongiungimenti famigliari. Quindici paesi in Europa hanno usato tali norme per una quota inferiore o uguale all’1 per cento per i trasferimenti in uscita.
D’altra parte la Grecia, che vanta anche un elevato rapporto trasferimenti-richieste (delle 9.559 richieste, 47 per cento è risultato in un trasferimento), ha presentato il 78 per cento delle sue richieste in uscita basandosi sulle norme relative ai ricongiungimenti famigliari.
Secondo il rapporto Aida, “l’applicazione efficace del sistema di Dublino genera diversi costi”.
Oltre all’uso eccessivo e spesso irragionevole delle risorse amministrative e finanziarie da parte delle autorità che si occupano delle richieste d’asilo, la continua spinta ad aumentare il numero di trasferimenti in ottemperanza alle regole di Dublino si è tradotta in un aumento degli abusi da un lato, e nel deterioramento delle procedure di salvaguardia in altri paesi.
In Francia, ad esempio, alle prefetture è stato indicato di ricorrere a misure restrittive della libertà: questo ha prodotto una riduzione drastica delle
opportunità di accesso ai tribunali per i richiedenti asilo. Inoltre, le prefetture hanno deciso di emettere la decisione di trasferimento prima di aver ottenuto l’approvazione da parte dello stato membro incaricato della richiesta di “restituzione” o di “presa in carico”, al fine di trattenere i richiedenti.
Per tutto il 2017 le organizzazioni della società civile hanno testimoniato come, in molte prefetture nell’Ile-de-France (la regione di Parigi) e nella zona del Rodano, diversi episodi di privazione di fatto del diritto a una soluzione efficace; per esempio ci sono testimonianze di richiedenti che venivano posti in stato di detenzione il venerdì per impedire loro di aver accesso all’assistenza legale durante il fine settimana, in modo tale da poter così realizzare il trasferimento entro 48 ore. Per casi come questi non esiste alcuna soluzione legale efficace per tutelare le persone coinvolte.
Il sistema di Dublino si basa su presupposti di mutua fiducia ed equivalenza dei criteri tra gli stati europei. Ma questi presupposti si piegano inevitabilmente a una realtà nella quale i sistemi di asilo e le condizioni di vita sono profondamente diversi: alcuni paesi violano sistematicamente i diritti umani e le questioni relativa alla sicurezza non sono uniformi.
La situazione del sistema di asilo ungherese ha portato diversi paesi a sospendere i relativi trasferimenti sotto l’egida di Dublino, sulla base dei rischi per i diritti umani. Paesi come Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia e Italia non realizzano trasferimenti verso l’Ungheria, la Germania non ne effettua dall’aprile 2017.
Solo alcuni paesi, come ad esempio la Svezia, hanno sistematicamente cessato i trasferimenti alla Bulgaria, nonostante l’esistenza di prove relative a preoccupanti condizioni dei richiedenti asilo. Anche il Regno Unito ha sospeso i trasferimenti verso il paese balcanico. La Polonia non avvia procedure per casi che riguardano gruppi a rischio..
Al contrario, Austria, Germania, Francia, Svizzera, Paesi Bassi, Italia, Ungheria e Romania continuano a emettere sentenze per la realizzazione di trasferimenti verso la Bulgaria, anche per i gruppi a rischio, sebbene i tribunali abbiano ordinato sospensioni su alcuni singoli casi.
Nonostante la raccomandazione emessa dalla Commissione europea per ristabilire i trasferimenti in conformità agli accordi di Dublino a partire dal 15 marzo 2017, molti paesi europei non hanno modificato la propria posizione riguardo alla sospensione dei trasferimenti verso la Grecia.
Germania, Svizzera, Belgio e Croazia hanno ristabilito le procedure di Dublino per la Grecia: la Germania, in particolare, ha richiesto garanzie individuali su ogni trasferimento, mentre la Svizzera non applica le procedure di Dublino nel rispetto delle persone vulnerabili o per i richiedenti asilo che non sono in possesso di un visto per la Grecia.