Gas serra: il mercato europeo delle emissioni funziona?
In mancanza di un prezzo abbastanza alto delle emissioni di anidride carbonica, l'eccedenza di quote di emissioni di gas a effetto serra rimarrà elevata e il mercato europeo di anidride carbonica (Emissions Trading System, EU ETS) sarà inutile.
Gas serra: il mercato europeo delle emissioni funziona?
In mancanza di un prezzo abbastanza alto delle emissioni di anidride carbonica, l’eccedenza di quote di emissioni di gas a effetto serra rimarrà elevata e il mercato europeo di anidride carbonica (Emissions Trading System, EU ETS) sarà inutile.
In concomitanza con la chiusura della COP25 organizzata a Madrid, il prossimo Consiglio europeo del 12 e 13 dicembre potrebbe aumentare le ambizioni della politica climatica sul lungo termine dell’Unione europea. Già adesso 25 dei 28 Stati membri si sono pronunciati in favore dell’obiettivo della “neutralità carbonica” entro il 2050, cioè una situazione in cui le emissioni di gas a effetto serra sono compensate dall’assorbimento di CO2 atmosferica (per lo più attraverso le foreste e il terreno) – Polonia, Ungheria e Cechia condizionano però la loro adesione a una maggiore contributo europeo alla transizione dei loro sistemi energetici.
Per ora sul medio termine l’obiettivo rimane quello fissato nel 2014: una riduzione del 40 per cento delle emissioni entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990).
Un mercato dell’anidride carbonica inefficace
Per raggiungere gli obiettivi sul medio e lungo termine è necessaria una revisione del principale strumento della politica climatica europea, cioè del sistema comunitario di scambio di quote di emissione – in altre parole del mercato europeo dell’anidride carbonica. Oggi questo sistema rimane inefficace, nonostante le misure adottate per migliorarlo.
Creato nel 2005, questo meccanismo impone un limite massimo annuale alle emissioni di circa 11mila grandi unità industriali, responsabili del 45 per cento delle emissioni di CO2 dell’Unione: centrali elettriche a carbone e a gas, cementifici, acciaierie e così via. Dal 2012 anche le compagnie aeree fanno parte di questo gruppo di imprese, ma solo per i voli interni dell’Europa. Per il periodo 2012-2020 la riduzione annua del limite di emissioni è stata fissata dagli stati membri all’1,74 per cento, in linea con la dinamica globale prevista (una riduzione del 20 per cento delle emissioni dell’Ue nel 2020 rispetto al 1990); il limite massimo delle emissioni si abbassa di anno in anno.
Se un’impresa emette meno CO2 rispetto al suo limite massimo, ottiene delle quote che può eventualmente rivendere sul mercato. Ma le emissioni delle imprese sono in realtà diminuite più rapidamente del limite che era stato imposto loro, a causa fra l’altro delle politiche a favore delle energie rinnovabili e di un miglior controllo dell’energia: l’obiettivo del 2020 è stato raggiunto già nel 2017. Per il periodo 2020-2030 il tetto dovrebbe ridursi del 2,2 per cento all’anno – ma se l’Ue dovesse adottare questi limiti non si potrebbe raggiungere la neutralità carbonica prevista per il 2050, fa osservare l’Institute for Climate nel suo ultimo bilancio annuale .
Il limite imposto alle imprese si traduce nella concessione di un permesso di emissioni (o di quote). Una quota rappresenta il diritto di emettere una tonnellata di CO2; le imprese interessate devono restituire ogni anno alle autorità un numero di quote corrispondente alle tonnellate di CO2 emesse(o l’equivalente per gli altri gas a effetto serra). Se un’impresa emette di meno rispetto al suo limite, accumula delle quote che può eventualmente rivendere sul mercato. Se invece emette di più, deve comprare delle quote supplementari per mettersi in regola.
Quote in eccedenza
Poiché le emissioni sono molto inferiori rispetto al numero di quote attribuite all’insieme delle imprese interessate, il sistema ha finito per accumulare molte quote inutilizzate. Nel 2018 il loro numero era stimato in 1.650 milioni, l’equivalente di un anno di emissioni. Questa eccedenza spiega la riduzione dei prezzi sul mercato delle quote fino al 2018. Ma quando i prezzi sono bassi e non è costoso acquistare i diritti per emettere della CO2, le imprese non sono spinte a investire per ridurre le loro emissioni.
Dal 2018 i prezzi delle quote di CO2 hanno ripreso a crescere e gli analisti prevedono un loro aumento sul breve periodo. In effetti, diverse misure adottate a partire dal 2013 hanno permesso di ridurre una concessione troppo generosa di quote. In primo luogo l’Europa ha messo fine al riconoscimento dei crediti internazionali di anidride carbonica, un meccanismo che era stato applicato nel quadro del protocollo di Kyoto. Questo meccanismo prevedeva dei crediti di emissione per le imprese europee che si lanciavano in progetti a bassa emissione di anidride carbonica nei paesi dell’emisfero Sud – un’opportunità che ha contribuito in modo importante all’inflazione delle quote.
Inoltre, la concessione di crediti di anidride carbonica, fino ad allora per lo più gratuita, ha iniziato a essere fatta attraverso delle aste per i settori non sottoposti alla concorrenza internazionale, come la produzione di elettricità (con delle esenzioni per i paesi dell’Europa centrale). Infine è stato creato e reso operativo nel 2019 un meccanismo per far uscire dal mercato una parte delle quote in eccedenza, chiamata riserva di stabilità di mercato.
Tuttavia questo sforzi rimangono ancora insufficienti. Permettono ormai a una centrale a gas efficiente di essere concorrenziale rispetto a un’inefficiente centrale a carbone, ma il prezzo della CO2 non è abbastanza elevato per eliminare dal mercato tutte le centrali a carbone, e ancora meno per scoraggiare il ricorso alle energie fossili da parte dell’industria pesante.
Accelerare l’uscita dalle energie fossili
Il recente aumento del prezzo delle quote di CO2 e l’estensione della loro concessione attraverso le aste hanno almeno avuto il vantaggio di aumentare le entrate pubbliche che possono essere destinate alla transizione energetica. Gli stati membri hanno infatti l’obbligo di devolvere almeno la metà dei redditi delle aste al clima e all’energia. E questi redditi sono passati da 5,5 miliardi di euro nel 2017 a 14,2 nel 2018.
Tuttavia, in assenza di una tassa carbonica europea, la cui creazione potrà avvenire solo con voto unanime degli stati membri, l’obiettivo principale del mercato europeo dell’anidride carbonica rimane quello di portare a un prezzo della CO2 capace di accelerare l’uscita dalle energie fossili, in base al principio del “chi inquina paga”. Ma finora le misure adottate hanno permesso solo di ridurre parzialmente le eccedenze di quote sul mercato e non di eliminarle.
In futuro questa situazione potrebbe addirittura aggravarsi per effetto di altre politiche europee legate al clima. L’UE si è infatti posta l’obiettivo del 32 per cento di energia rinnovabile per il consumo di energia finale entro il 2030, e di una riduzione progressiva di quest’ultima del 32,5 per cento. E già una decina di stati membri hanno adottato un piano di uscita dal carbone. Ma se queste politiche saranno effettivamente adottate senza una revisione al ribasso dei limiti di emissioni previsti per il periodo 2020-2030, il mercato vedrà rimanere delle eccedenze e dei prezzi di CO2 in diminuzione. Proprio questa situazione ha spinto il Regno Unito ad adottare in modo unilaterale un prezzo minimo per le quote di CO2, che verrà aumentato di anno in anno.