Erasmus a più velocità: acesso all’istruzione e diseguaglianze economiche
Ogni anno centinaia di migliaia di europee ed europei partecipano al programma Erasmus, uno scambio accademico e culturale che influenza la loro carriera e la loro vita. Molti studenti però ne restano parzialmente esclusi
Erasmus a più velocità: acesso all’istruzione e diseguaglianze economiche
Ogni anno centinaia di migliaia di europee ed europei partecipano al programma Erasmus, uno scambio accademico e culturale che influenza la loro carriera e la loro vita. Molti studenti però ne restano parzialmente esclusi
Nei suoi quasi trentacinque anni di storia, una decina di milioni di cittadine e cittadini hanno beneficiato di uno dei progetti di maggior successo dell’Unione europea, esempio di integrazione in un continente che, almeno fino all’inizio della pandemia, aveva abbattuto i confini per molti. Eppure questo scambio rimane fuori portata per chi ha pochi mezzi, proviene dai paesi più poveri o ha bisogno di assistenza e cure.
Visualization by Laura Martín, Rocío Márquez, Fernando Anido, Luis Rodríguez
“Fatichiamo a raggiungere determinate categorie, in particolare chi proviene da famiglie economicamente vulnerabili”, spiega l’ungherese Tibor Navracsics, Commissario europeo per l’istruzione, la cultura, i giovani e lo sport dal 2014 al 2019. Tutte le fonti contattate per questo rapporto hanno convenuto che il programma Erasmus, nonostante il suo indubbio successo, ha molta strada da fare per ridurre questo divario economico.
“C’è anche un problema geografico. Direi che chi proviene dall’Europa meridionale e orientale incontra maggiori ostacoli economici alla partecipazione all’Erasmus. Succede anche in altri paesi, ma in particolare in queste parti del continente”, aggiunge Navracsics.
Nel 2019-20, l’ultimo anno con dati disponibili, 831.865 studenti/esse e docenti hanno partecipato in qualche modo al programma Erasmus. El Confidentcial e Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa hanno analizzato queste informazioni per lo European Data Journalism Network (EDJNet) utilizzando indicatori economici chiave per scoprire la vera composizione sociale del programma Erasmus.
In breve, abbiamo studiato i dati di circa 200.000 studentesse e studenti di scambio che, nel 2019-20, hanno viaggiato tra i ventisette Stati membri dell’UE, Turchia, Serbia, Montenegro, Islanda, Liechtenstein e altri paesi partecipanti al programma.
Il 61% di chi si laurea nei paesi economicamente più sviluppati ha trascorso l’anno Erasmus nel 2019-20 presso università di paesi di livello economico simile.
In queste stesse università, il 51% di chi studia in un’economia di livello intermedio ha trascorso un periodo di studio lontano dall’università di origine. Questa percentuale scende al 37% nel caso di chi proviene da economie meno avanzate.
“L’ideale è avere una varietà di destinazioni”, afferma Juan Rayon, presidente di Erasmus Student Network, l’organizzazione fondata nel 1989 che lavora con le università di tutta Europa. “La disparità sta nella difficoltà che chi studia in Europa meridionale e orientale incontra nello studiare al nord e all’ovest del continente, mentre lo scambio inverso è una passeggiata per chi studia nei paesi più ricchi. Dobbiamo facilitare questo scambio Nord-Sud perché c’è un’importante mancanza di comprensione tra Nord e Sud. Per chi vive in Italia, andare in Svezia o in Finlandia è uno shock enorme”.
Questa è un’osservazione valida. I paesi partecipanti al programma Erasmus sono suddivisi in tre livelli in base al costo della vita. Il livello più alto comprende i paesi nordici e l’Irlanda; il livello medio Francia, Germania e Paesi Bassi, ma anche Spagna, Italia, Grecia e Portogallo; il più basso Bulgaria, Romania, Ungheria, Lituania e Repubblica Ceca.
In base a questi criteri, Erasmus distribuisce aiuti economici. Fino all’anno scorso, una borsa di studio andava da 250 a 450 Euro a seconda del livello del paese di destinazione e di quello del paese di origine. Da quest’anno, le borse Erasmus andranno da 200 a 600 Euro.
“Chi studia in un’altra università europea per un semestre riceve circa 1.500 Euro. Che cosa ci può pagare? Un biglietto di andata e ritorno (se vuole tornare a casa a Natale, questo complica ancora di più le cose). Nella migliore delle ipotesi, due mesi di affitto con il resto, ne rimangono altri tre. Se va per un anno, riceverà circa 3.000 Euro. Va bene. Ma basta per vivere otto o nove mesi in un paese europeo? Non proprio. La borsa Erasmus è integrata da borse di studio e prestiti nei paesi di origine, ma non è ancora sufficiente per consentire a chi ha pochi mezzi di studiare all’estero”, afferma Marius Martinez, Vice Rettore delle Relazioni internazionali presso l’Universidad Autonoma de Barcelona (UAB).
Ci sono anche aiuti extra per chi arriva dalle regioni ultraperiferiche d’Europa o da un ambiente meno favorevole, cosa che sta diventando sempre più importante all’interno del programma. Eppure le organizzazioni studentesche nutrono dubbi sulla struttura di queste borse e chiedono maggiore trasparenza, cosa richiesta anche dalle università. All’inizio dell’ultimo anno accademico, la Coalizione Erasmus+ ha denunciato i ritardi nei pagamenti dei contributi.
“Non c’è registro dove, come nella società civile, si può vedere che fine fa una borsa di studio. Nessuno può vedere dove finiscono i fondi nazionali e regionali”, dice Rayon.
“Ci sono forti discrepanze nel costo della vita in Europa e, per questo, volevamo aumentare la quantità di denaro destinata all’Erasmus”, afferma Navracsis. L’ex Commissario europeo ritiene che l’ultimo aumento del Consiglio europeo sia insufficiente: “Volevamo utilizzare questi fondi extra per correggere quelle disuguaglianze”, lamenta.
Oltre alle borse Erasmus, ci saranno borse o prestiti dal proprio paese di origine (a livello nazionale o regionale) o dalle università. Eppure questi “contributi allo studio”, come sono definiti nel programma, non eliminano questa disuguaglianza. “Non coprono tutti i costi di alloggio, trasporto e vita quotidiana. Sono sempre rimpinguati dalle famiglie e dalle studentesse e dagli studenti stessi. Tutti sanno che, purtroppo, queste borse non coprono tutti i costi della vita all’estero”, afferma Silvia Gallart, Direttrice Relazioni internazionali e cooperazione presso l’Universidad Carlos III.
Come funziona l’Erasmus?
Il programma Erasmus è iniziato nel 1987, anche se dall’inizio degli anni ’80 c’erano stati vari programmi pilota. Da allora ha continuato a crescere, accogliendo sempre più studenti/esse e insegnanti, arrivando in più paesi e coprendo un numero crescente di livelli accademici e professioni (oltre all’istruzione superiore, il programma copre la formazione professionale). Dal 2014, il programma è noto come Erasmus+ e comprende un’ampia varietà di programmi di scambio.
La sua attuazione è annuale, sebbene il suo finanziamento sia fissato ogni sette anni attraverso il quadro finanziario pluriennale (QFP) dell’UE. Nel 2021, ad esempio, è iniziato un nuovo quadro che si estenderà fino al 2027, portando i finanziamenti da 14,7 miliardi di Euro nell’ultimo ciclo a 26,2 miliardi di Euro fino al 2027.
Erasmus stabilisce le proprie condizioni, dal finanziamento agli obiettivi. Per il periodo appena iniziato, inclusione sociale, transizioni verdi e digitali e sostegno alla partecipazione democratica tra i giovani sono i principi che dovrebbero guidare le azioni degli Stati membri e delle università, spiega la pagina web del programma.
In questo quadro, ogni università è libera di firmare accordi con qualsiasi istituzione, a condizione che entrambe accettino una condizione: l’adozione della Carta Erasmus per l’istruzione superiore (ECHE). “È una forma di accreditamento che devi presentare ogni volta che viene lanciato un nuovo programma” spiega Silvia Gallart. “Con una sola domanda dici chi sei come università e cosa vuoi fare. È la tua strategia Erasmus”.
Pertanto, ogni anno, le università devono presentare una strategia specifica per ciascuna azione (come la mobilità degli studenti e del personale all’interno dell’università) che indica di quante borse di studio avranno bisogno i loro studenti/esse. A seconda della disponibilità di fondi, le agenzie nazionali responsabili della distribuzione dei fondi possono assegnarli tutti o solo una parte del totale. Questo numero di scambi è il risultato di accordi stipulati tra le università, che normalmente si basano su accordi reciproci: il numero di studenti/esse che lasciano l’università è generalmente equivalente al numero di chi vi entra.
Diversi legami universitari
Qualsiasi università può stipulare una convenzione con qualsiasi altra. Tuttavia, c’è poco incentivo per un’università di rango superiore a raggiungere un accordo con un’università di rango inferiore. “Si sono formate diverse leghe. Ci sono la Champions League, i campionati nazionali e poi quelli regionali e locali… e queste classifiche hanno creato una sorta di gerarchia”, spiega Marius Martínez. Le università guardano sempre in alto e quelle in fondo alla piramide vengono ignorate.
“Se dico a Oxford che voglio firmare un accordo in tutte le aree di studio, mi rifiuteranno sicuramente”, afferma Gallart. “Cerchiamo sempre di stringere accordi con università il cui livello di qualità, eccellenza e reputazione sia simile o addirittura migliore del nostro. Ma nell’offrire queste soluzioni dobbiamo considerare molti fattori, non solo la qualità di un’università”. La disuguaglianza economica è un altro fattore in gioco: “Potrebbe interessarmi di più firmare un accordo con un’università rumena, perché è un paese economicamente accessibile per i nostri studenti, piuttosto che, ad esempio, Maastricht (Paesi Bassi) o Linkoping (Svezia), dove il costo della vita è molto alto”, spiega.
Martinez condivide questa opinione: “Cambridge non ha bisogno di firmare accordi con noi, loro possono andare dove vogliono”. I dati confermano questa affermazione: secondo le informazioni pubblicate dalla Commissione europea, nell’anno accademico 2019-20 l’Università di Cambridge ha inviato quasi quattro volte più studenti/esse e insegnanti (243) di quante/i ne ha ricevute/i (83). Eppure il vicerettore di UAB segnala anche alcune eccezioni. Alcune università sono più attraenti a causa della loro posizione o delle loro specialità anche quando non sono classificate tra le migliori. “Faccio un esempio: ci sono università in Cile e Argentina che hanno facoltà in Antartide. Non sono così in alto nelle classifiche, ma hanno alcune caratteristiche speciali. Questi sono casi insoliti, sebbene avvenga anche in Europa. È un piccolo correttore delle disuguaglianze”, afferma Martinez.
Successo spagnolo e italiano
Spagna e Italia sono, insieme al Portogallo, i paesi che partecipano di più al programma Erasmus. Sebbene i paesi stessi siano ben collocati in classifica, le loro università, con poche eccezioni, non compaiono ai vertici delle classifiche europee. Eppure sono i paesi che registrano il maggior numero di arrivi all’interno del programma e inviano anche più di altri paesi con una popolazione maggiore. Ci sono molti scambi tra i due paesi: nell’anno accademico analizzato in questo rapporto, l’Italia ha inviato più di 9.500 studenti/esse in Spagna e ne ha ricevute/i 6.500.
Martinez riassume: “[Le università spagnole e italiane] sono ben posizionate: per il clima, per la cultura, per la vita sociale, per la sicurezza… sono fattori strategici che aiutano la Spagna e l’Italia e attirano persone dalle università di rango superiore. Considero la mia un’ottima università, ma sono anche consapevole del fatto che siamo ben posizionati geograficamente. Voglio usare questo aspetto a nostro vantaggio”. Insieme ai vantaggi culturali e geografici della Spagna e dell’Italia, anche il costo della vita è inferiore rispetto al Nord.
La percentuale di partecipazione all’Erasmus nel 2019-20 non mostrava differenze significative tra i paesi. A parte Lussemburgo e Liechtenstein, che sono molto piccoli, spiccano Portogallo, Slovenia e Lituania: oltre il 2% di chi vi studia ha scelto altre università in Europa, contro una percentuale compresa tra l’1% e il 2% in altri paesi.
Ciò non significa che la mobilità non dipenda dalle possibilità economiche. Per chi ha possibilità economiche, l’Erasmus è solo uno dei programmi di scambio disponibili in Europa. Per chi non ne ha è l’opzione migliore, spesso l’unica.
“In Europa c’è un enorme divario tra i diversi programmi di scambio”, spiega Rayon. “Nei paesi nordici, chiunque frequenti l’università riceve una borsa di studio secondo un piano di pagamento di propria progettazione. Dipende molto dalla politica dell’empowerment. Quando va in Erasmus, queste borse continuano e non dipendono dai soldi della famiglia. Questo è fondamentale se si vuole partecipare con successo alla mobilità studentesca”.
Insieme, la disuguaglianza socioeconomica e quella accademica sono le barriere più difficili da superare per le persone provenienti da famiglie a basso reddito. Uno degli obiettivi del programma è ridurre questo divario e fare tutto il possibile per favorire lo scambio e migliorare l’esperienza personale e le prospettive di carriera. Tuttavia, c’è ancora molto lavoro da fare, nonostante il suo successo fino ad oggi. “Quando si parla di integrazione e coesione europea, bisogna tener conto di questi aspetti sociali ed economici”, spiega Marius Martinez.
“Questa è la cosa che dobbiamo sistemare, in un modo o nell’altro. Quando parliamo di istruzione, parliamo sempre dei suoi benefici socioeconomici e dei cambiamenti che può apportare nella vita delle persone. È fastidioso, è scomodo, perché stiamo evidenziando i punti deboli del sistema. Non possiamo semplicemente continuare a perpetuare un sistema pieno di disuguaglianze e, se l’economia continua ad andare come sta andando ora, queste disuguaglianze aumenteranno. L’ascensore sociale non si rafforza. Al contrario, sta diventando sempre più traballante”, conclude.
Metodologia
Abbiamo utilizzato molte fonti diverse per queste informazioni.
I dati sui programmi di scambio Erasmus+ possono essere trovati utilizzando questo link. Il dataset originale comprende tutti i programmi di scambio dell’anno accademico 2019/20, con informazioni su campi di studio, livelli di studio, durata degli studi, istituzioni di origine e destinazione e le rispettive città.
Al fine di evidenziare la dimensione economica e le differenze tra i paesi partecipanti, abbiamo confrontato i dati sugli scambi con la percentuale media del PIL (Purchasing Power Parity per abitante, PPA) a livello regionale NUTS2, pubblicata da Eurostat. Questo database consente confronti tra economie e regioni significativamente disparate.
La banca dati originale con i dati Erasmus non contiene informazioni sulla regione NUTS2 in cui sono ubicate le istituzioni accademiche. Abbiamo scoperto noi stessi l’ubicazione di queste istituzioni: prima di tutto, abbiamo ottenuto le coordinate delle città in cui queste istituzioni erano ubicate; quindi abbiamo identificato la regione attraverso il geocalcolo.
Per ottenere le coordinate delle città con università partecipanti all’Erasmus+, abbiamo incrociato i dati del programma con quelli delle Local Administrative Units (LAU) anche se solo il 50% circa coincideva. Ciascuna istituzione accademica trasmette i propri dati in maniera autonoma, quindi le informazioni non sono standardizzate. Ciò significa che i database Erasmus hanno spesso nomi di città scritti in modo diverso rispetto al modo in cui sono riconosciuti dalle LAU. Le coordinate per l’altra metà delle città sono state ottenute manualmente, ricercandone la latitudine e la longitudine.
Una volta che le città sono state geolocalizzate e collegate alla rispettiva regione NUTS2, le abbiamo incrociate con i dati PPA di Eurostat, il che ci ha permesso di sottolineare le disuguaglianze economiche che deve affrontare chi partecipa al programma Erasmus. Tuttavia, dato che i dati PPA non sono disponibili per tutti i paesi, abbiamo dovuto escludere alcune destinazioni, come la Norvegia e la Macedonia del nord, poiché non era possibile un confronto. Abbiamo anche deciso di escludere dalla nostra analisi gli scambi di dottorato, che già prevedono un pagamento sotto forma di stipendio o borsa di studio.
Le classificazioni della performance economica per ciascuna regione (“più sviluppate”, “in transizione” e “meno sviluppate”) sono state ottenute utilizzando la stessa categorizzazione usata dalla Commissione europea per creare la propria politica di coesione. Le regioni “meno sviluppate” sono quelle con un PPA inferiore al 75% della media UE. Le regioni “in transizione” hanno un PPA compreso tra il 75% e il 100% mentre quelle “più sviluppate” hanno un PPA superiore al 100%.
I dati sul costo della vita e sui beni di prima necessità nelle città europee sono stati ottenuti tramite Numbeo.