Croazia: c’è chi se ne va
È un paradiso turistico, ma viverci è più difficile. E sono in molti i lavoratori croati che partono per l'estero. Un fenomeno che affonda le sue radici in una combinazione di fattori sia di lungo che di breve periodo. Un'analisi
Croazia: c’è chi se ne va
È un paradiso turistico, ma viverci è più difficile. E sono in molti i lavoratori croati che partono per l’estero. Un fenomeno che affonda le sue radici in una combinazione di fattori sia di lungo che di breve periodo. Un’analisi
Da diversi anni i temi dell’emigrazione all’estero e dello spopolamento di vaste aree si contendono le prime pagine dei giornali croati, con un frequente utilizzo di termini allarmistici quale “esodo”, e “catastrofe demografica”. Sono inoltre ricorrenti le testimonianze di abitanti, più o meno giovani, che hanno lasciato il suolo natio diretti verso il nord Europa trbuhom za kruh, una colorita espressione che si potrebbe tradurre “seguendo la pancia, alla ricerca del pane”.
La presidente Kolinda Grabar Kitarović ha più volte parlato della questione demografica, definendola una “questione vitale” e una “battaglia per l’esistenza”, e per combatterla ha istituito un team di specialisti. Le proposte messe a punto nel 2018 prevedevano alcuni generici stimoli economici, il taglio delle tasse, la riforma della pubblica amministrazione, incentivi alla natalità, oltre al vecchio sogno di riportare in patria la diaspora.
Di recente, durante una visita presso la contea di Virovitica-Podravska, Grabar Kitarović ha di nuovo sottolineato la necessità di trovare una soluzione per la questione demografica, in particolare nelle contee direttamente toccate dall’”aggressione grande-serba”. Le affermazioni della presidente, nel farsi forza di un’espressione già al centro di polemiche con la Serbia, nascondono però una verità scottante. La Croazia indipendente, che ha speso fiumi di parole per le zone che furono in prima linea nella “guerra patriottica”, in particolare la Lika e la Slavonia, le ha poi lasciate morire economicamente. Se nel caso della prima, zona montana, la tradizione migratoria è da sempre rilevante sin dai tempi dell’Impero austro-ungarico, al contrario Vukovar, al centro della fertile Slavonia, era stata un territorio di destinazione di immigrazione durante la Jugoslavia socialista, ma langue da due decenni in uno stato di prostrazione economica e si sta letteralmente svuotando.
Basta tuttavia una prima analisi per comprendere che l’emigrazione di lavoratori croati affonda le sue radici in una combinazione di fenomeni sia di lungo che di breve periodo.
Nel 2013 la Croazia esordiva all’interno dell’Unione europea in un momento di profonda crisi economica che aveva provocato un’impennata della disoccupazione, in particolare negli anni 2013 e 2014, quando si attestava ad oltre il 17%. L’ingresso del paese nell’Unione si è rivelato dunque un volano per i flussi migratori. Il flusso si è ingigantito dal 2015, quando i lavoratori croati hanno iniziato a godere della piena libertà di movimento nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea, tra cui la Germania.
Da questo punto di vista la Croazia non rappresenta un caso unico, dal momento che forti ondate emigratorie hanno caratterizzato molti altri paesi di recente adesione all’Unione europea.
Oggi, in cima alla classifica dei paesi dell’Unione europea che hanno una percentuale più alta della loro forza lavoro all’estero si trovano tre paesi dell’Europa orientale. Nel 2018 la Romania vedeva il 21,3% dei suoi cittadini in età lavorativa risiedere all’estero, seguita dalla Croazia (15,4%), dalla Lituania (14,5%), dal Portogallo (13,6%) e dalla Bulgaria (13,3%). I numeri della Croazia vanno comunque considerati alla luce del fatto che i flussi migratori erano già iniziati negli anni ‘90.
Appaiono comunque ancora incerti i tentativi di stimare un numero complessivo dei cittadini croati emigrati all’estero.
Cifre e percentuali
Secondo l’Istituto croato per la statistica dopo l’ingresso della Croazia nell’Unione il numero annuale degli emigranti sarebbe passato dai 15.262 del 2013 ai 39.515 del 2018 (con un picco di 47.532 persone nel 2017). Tuttavia, le statistiche sarebbero lontane dalla realtà, date le difficoltà a determinare i reali espatri, specialmente quando le persone mantengono la residenza nel luogo di origine. In alcuni casi ciò sarebbe dovuto alla volontà di mantenere l’assicurazione sanitaria in Croazia e di usufruire dei servizi sanitari, considerevolmente più economici rispetto ad altri paesi di emigrazione, il che sarebbe testimoniato da un numero degli assicurati superiore di circa 200.000 rispetto ai reali abitanti.
Secondo un’indagine del quotidiano Jutarnji list solo prendendo in considerazione le registrazioni di cittadini croati nei tre paesi di destinazione della maggior parte degli emigranti croati – Germania, Irlanda e Austria – i numeri sarebbero ben maggiori: da 9.007 nel 2012, a 16.895 nel 2013, a 45.517 nel 2014, 61.626 nel 2015, 64.654 nel 2016, 66.201 nel 2017. A queste somme andrebbero aggiunte quelle relative agli emigranti in altri paesi che potrebbero rappresentare un ulteriore 25%. A fare la parte del leone è ancora una volta la Germania, con 56.265 arrivi nel 2017, seguita a distanza da Austria e Irlanda. Se nei primi due casi si tratta di rotte migratorie storiche, di recente l’Irlanda si è imposta come paese di immigrazione, con un picco di ingressi nel 2016.
Le nuove ondate migratorie sono caratterizzate da un’età media molto più giovane di quelle precedenti (mentre nel decennio precedente l’età media era 41,5 anni, nel 2016 era scesa a 33,6 anni) e una maggiore partecipazione di minori.
Tuttavia, all’interno di questi numeri andrebbero ulteriormente differenziati i croati provenienti dalla Croazia e coloro che, pur avendo il passaporto croato, provengono da altri paesi (in particolare la Bosnia Erzegovina). Nel 2018, dei 57.724 croati che sarebbero arrivati in Germania, 6.527 risulterebbero appartenere alla seconda categoria.
Lo studio di Ivana Draženović, Marina Kunovac e Dominik Pripužić, pubblicato alla fine del 2018 ma riferito al periodo 2013-2016, ha stimato in 230.000 il numero di croati che hanno lasciato il paese in quell’arco di tempo.
I migranti provengono dalle regioni con una più alta disoccupazione come la Croazia orientale, centrale, la Lika e il Gorski Kotar. Tuttavia le migrazioni toccano anche la Croazia nord-occidentale e potrebbero aumentare come conseguenza della crisi della cantieristica.
Dalla prospettiva odierna si può dire che l’emigrazione abbia fornito una valvola di sfogo per la disoccupazione, che nel 2019 risulta di poco superiore al 7%, più che dimezzata, dunque, rispetto a solo 5 anni fa.
Mancanza di forza lavoro
Tuttavia, i flussi migratori degli anni scorsi hanno già fatto emergere delle carenze nel mercato del lavoro locale. In alcuni settori economici si manifesta una mancanza ormai cronica di personale specializzato, che desta particolare allarme nell’ambito sanitario. A scarseggiare tuttavia è anche personale non qualificato. A dispetto di quanto spesso si pensi, infatti, la forza lavoro croata che emigra risulta avere un livello di istruzione generalmente più basso rispetto alla popolazione che rimane nel paese.
Negli ultimi anni la Croazia ha aperto quote sempre maggiori per lavoratori stranieri. Tuttavia, il bacino al quale la Croazia storicamente attingeva manodopera – l’area ex jugoslava – non sembra più in grado di soddisfare i suoi fabbisogni. I lavoratori provenienti dalla Bosnia Erzegovina e dalla Serbia sono a loro volta tentati da progetti migratori a più lungo raggio, in particolare verso la Germania, piuttosto che dal mercato del lavoro croato. Inoltre, l’attacco contro stagionali serbi della scorsa estate, motivato da questioni nazionali, avvenuto a Supetar sull’isola di Brač, e il più generale clima di intolleranza verso la comunità serba non contribuiscono a rendere la Croazia attrattiva per i cittadini della vicina repubblica.
Il risultato è che lavoratrici e lavoratori provenienti dall’Estremo Oriente, in particolare dalle Filippine, non sono forse la norma, ma neppure più una nota esotica nel panorama del settore alberghiero croato. Al contrario le migliaia di profughi che bussano alle porte del paese in arrivo dalla rotta balcanica non sono mai state neppure considerate un potenziale bacino di reclutamento di manodopera.
Le quote di lavoratori stranieri per il 2019 sono state portate a 65.000 unità, una cifra più che doppia rispetto all’anno precedente, di cui 15.600 nel settore alberghiero e 17.800 in quello delle costruzioni, ma appaiono lontane dal fabbisogno reale. Pare inoltre che diverse agenzie di intermediazione internazionali abbiano approfittato delle quote per inviare lavoratori extraeuropei temporaneamente in Croazia e successivamente trasferirli a breve in altri paesi europei.
Così in auge sono tornati anche i pensionati. Questa primavera la catena di supermercati Spar ha lanciato una campagna per l’assunzione di pensionati che, in base alla legislazione croata, sono autorizzati a lavorare part time, anche per integrare le basse pensioni.
L’ultimo atto della riforma fiscale del governo di centro-destra di Andrej Plenković ha offerto, inoltre, consistenti sgravi fiscali in particolare ai lavoratori che dovrebbero entrare nel mondo del lavoro per contrastare l’esodo di manodopera. Inoltre, nel futuro prossimo si prevede il ritorno nel paese di molti cittadini che avevano raggiunto la Germania nel periodo d’oro dell’emigrazione dalla Jugoslavia, tra il 1968 e il 1972, e che prossimamente andranno in pensione.
Ma allora la Croazia non è un paese per giovani?
Gli indicatori croati sembrano più che altro mostrare, amplificato all’ennesima potenza, un fenomeno che caratterizza tutto il sud Europa. È difficile prevedere se le opportunità migratorie che si sono aperte negli ultimi anni all’interno dell’Unione Europea rimarranno tali anche negli anni futuri, in particolare dato il periodo di recessione che la Germania sta attraversando. Più in generale però la Croazia, come altri paesi limitrofi, si giocherà le sue carte se riuscirà a offrire prospettive alla popolazione in età lavorativa, una discreta qualità della vita, un sistema burocratico efficiente e non appesantito dalla corruzione, una motivazione per investire energie e speranze nel proprio paese di origine. Una sfida con la quale dovrà confrontarsi anche Dubravka Šuica, vicepresidente croata della Commissione europea di recentissima nomina, con deleghe alla democrazia e demografia.
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