GAFA: come il lobbying delle Big Tech modifica i meccanismi di potere in Europa
Un drastico aumento nelle spese di lobbying da parte delle grandi aziende del settore tecnologico (Google, Amazon, Facebook e Apple) ha corroso le leggi sulla privacy europee, tradizionalmente tra le più rigide al modo, trasferendo più potere nelle mani dei GAFA.
GAFA: come il lobbying delle Big Tech modifica i meccanismi di potere in Europa
Un drastico aumento nelle spese di lobbying da parte delle grandi aziende del settore tecnologico (Google, Amazon, Facebook e Apple) ha corroso le leggi sulla privacy europee, tradizionalmente tra le più rigide al modo, trasferendo più potere nelle mani dei GAFA.
Anche se l’Europa è conosciuta per la sua rigidità per quanto riguarda le norme e i controlli sulla privacy e le libertà digitali rispetto alla aziende della Big Tech, la sua reputazione è in pericolo: l’aggressività del lobbying dell’industria tecnologica negli ultimi anni ha portato a regolamenti e politiche che hanno visto il potere passare dagli stati alle aziende. L’impatto di questi spostamenti è ora visibile in tutto il continente.
Negli ultimi anni, le aziende tecnologiche delle “Big Four” (Google, Amazon, Facebook e Apple, le cosiddette Gafa) hanno aumentato la loro spesa di lobbying nell’Unione europea da un totale di 2,8 milioni di euro nel 2013 a 15,25 milioni di euro nel 2018: un aumento del 444%.
Google ha rappresentato più della metà di tale importo, con 8 milioni di euro spesi nel 2018, che rappresentano un aumento del 1.233 per cento rispetto al 2011, quando aveva speso “solo” 600mila euro, mentre Facebook ha visto un aumento del 2.233 per cento (da 150.000 a 3,5 milioni di euro) tra lo stesso periodo di tempo, e questa tendenza al rialzo non mostra segni di arresto in quanto le sue spese di lobbying per il 2019 sono cresciute a 4,25 milioni di euro.
Anche il numero di lobbisti che rappresentano queste società ha visto un drastico aumento. Google è passato da soli 7 lobbisti dichiarati a Bruxelles nel 2013 a 16, secondo i dati più recenti. Facebook è passato da 8 lobbisti nel 2011 a 25, Amazon da cinque a dieci e Apple da cinque a sette.
Tra il 2009 e il 2018, secondo Transparency International, Google ha assunto un totale di 23 persone provenienti dalle istituzioni dell’Ue, 11 delle quali esercitano una pressione specifica sull’Unione europea, mettendo in risalto il fenomeno delle porte girevoli in tutte le istituzioni dell’Ue.
Microsoft, nel frattempo, ha speso non meno di 4,25 milioni di euro all’anno tra il 2011 e il 2018, con un totale di 36,5 milioni di euro: solo Google si avvicina con un esborso totale di 29,85 milioni di euro.
La crisi in opportunità
Questo sforzo di lobbying su larga scala, naturalmente, non viene fatto senza motivo.
Le aziende Big Tech sono riuscite a trasformare l’attuale crisi di COVID-19 in un’opportunità. Come? Per ripulire la loro reputazione negativa in seguito agli scandali sulla privacy e sulla protezione dei dati che si sono prodotti negli ultimi anni sono riusciti ad apparire come la risposta alla crisi, proponendo soluzioni basate sulla tecnologia, su cui hanno esercitato un’aggressiva attività di lobbying nel corso degli anni.
Questo ha permesso a queste aziende di ottenere un ruolo di primo piano ai vertici della politica, aprendo loro la strada per dettare o/e influenzare decisioni politiche che vanno in direzione dei loro interessi, calpestando i diritti fondamentali della popolazione (e guadagnando fasce di dati da un mercato che è tradizionalmente difficile da ottenere).
L’Ue, che ha sempre avuto una posizione relativamente cauta nei confronti delle Big Tech, ora sta dimostrando di essere sempre più dipendente da queste aziende.
Non molto tempo dopo che il virus ha colpito l’Europa, DigitalEurope, un’organizzazione commerciale che rappresenta giganti della tecnologia come Amazon, Facebook e Google ha inviato una lettera ai presidenti delle tre istituzioni dell’Ue chiedendo maggiori fondi pubblici per la digitalizzazione di diversi settori.
Tra queste richieste c’è stato il dispiegamento di reti 5G e la rapida creazione di uno spazio europeo di dati sanitari per consentire la condivisione di dati tra enti pubblici e privati, e l’aumento degli investimenti in IA per il settore sanitario.
Google e Apple sono ora al centro degli sforzi dell’Ue per rintracciare i casi-contatto delle app di tracciamento: qui sono le aziende ai dire ai Governi quali livello di privacy le app debbano soddisfare, non il contrario.
I funzionari responsabili degli affari digitali di Germania, Francia, Italia, Spagna e Portogallo hanno pubblicato un op-ed congiunto che accusa le aziende Big Tech di negare ai governi democraticamente eletti l’ultima parola su come dovrebbero essere sviluppate le applicazioni di tracking del coronavirus. Questo documento non ha prodotto alcuna risposta né da parte delle aziende né da parte dell’Ue.
Nel Regno Unito, Amazon e Microsoft stanno lavorando per creare un dispositivo di risposta al coronavirus per il servizio sanitario nazionale britannico: questo dispositivo solleva diverse preoccupazioni in fatto di privacy. Altri accordi di questo tipo in Europa vedranno i dati sanitari dei cittadini essere consegnati ai giganti della tecnologia.
Un lobbista di Google ha suggerito alla Commissione europea di riconsiderare alcuni dei requisiti che aveva stabilito nel suo Libro Bianco per l’IA pubblicato a febbraio su questioni come i test e l’uso dei dati europei, mentre un altro gruppo di lobbisti che rappresenta alcuni dei grandi giganti della tecnologia ha chiesto l’esenzione fiscale per un anno.
L’Irlanda gioca un ruolo chiave, in quanto ospita giganti della tecnologia come Facebook, Microsoft e Apple, ed è direttamente responsabile del controllo del settore tecnologico.
L’Unione europea ha introdotto una legge sulla privacy teoricamente “più dura”, il Regolamento generale sulla protezione dei dati nel maggio 2018 (GDPR), ma questo non è stato visto come un’azione nei confronti delle Big Tech e da molti è considerato un flop.
Mentre l’Ue presenta diversi rapporti e suggerimenti su ciò che non ha funzionato nell’applicazione del GDPR, non si sta facendo molto al riguardo. Le agenzie per la protezione dei dati in tutti i 27 Paesi dell’Ue hanno aumentato il personale del 42 per cento e il budget del 49 per cento tra il 2016 e il 2019, ma questi dati non restano fini a se stessi.
L’Irlanda, così come il Lussemburgo che ospita colossi della tecnologia come Amazon, non hanno concluso alcuna indagine significativa su queste società, mettendo in discussione la loro idoneità a controllare le stesse società su cui le loro economie fanno così tanto affidamento.
Gli investimenti in Big Tech: clemenza e potere
Da gennaio 2010 a giugno 2020, più che in qualsiasi altro paese europeo, sono stati effettuati in Irlanda 14 investimenti green-field tra Amazon, Facebook, Google e Apple in progetti di ICT e infrastrutture.
Un rapporto del 2018 ha rilevato che i data center hanno contribuito all’economia irlandese per 7,13 miliardi di euro dal 2010. Host in Ireland, azienda leader nel settore digitale, prevede che gli investimenti nei data center porteranno in Irlanda 1,13 miliardi di euro nel 2020, con 12 strutture in costruzione e 26 in fase di pianificazione, e prevede anche 6,7 miliardi di euro di investimenti da qui al 2025, che si aggiungono ai 6,2 miliardi di euro che sono stati investiti nel settore fino ad oggi.
Ciò evidenzia come la dipendenza degli stati da queste aziende tecnologiche ostacoli l’indagine imparziale e le conseguenti sanzioni, e dimostra come la Big Tech abbai, nei fatti, il controllo sulla regolamentazione della privacy al posto dei governi.
A maggio, Microsoft ha annunciato un investimento di 1,5 miliardi di dollari in Italia per il cloud business che comporterà l’accesso ai servizi cloud locali e accelererà il riavvio del business fornendo l’accesso agli AI Hub e alle iniziative per le piccole e medie imprese, un altro investimento simile di 1 miliardo di dollari è stato annunciato in Polonia.
A giugno, Google ha inoltre confermato che investirà tra 1,5 e 2 miliardi di dollari in un data center a Varsavia per gestire i servizi cloud.
Investimenti di tale portata hanno la capacità di creare lo stesso effetto che si è visto in Irlanda e Lussemburgo, dove i paesi ospitanti, di fatto responsabili della regolamentazione dei giganti della tecnologia, non riescono poi a controllarli per il peso che questi anni sull’economia.
L’integrazione di Big Tech all’interno dei paesi europei, e quindi la dipendenza da queste aziende, ha creato un livello di dipendenza senza precedenti: ma il loro lavoro non si ferma a livello statale.
All’inizio del 2020, Microsoft ha annunciato la nomina di due alti dirigenti governativi per le loro sedi di Bruxelles e New York e l’apertura di un nuovo ufficio di rappresentanza presso le Nazioni Unite nella città statunitense.
Il diplomatico danese Casper Klynge è ora vicepresidente di Microsoft per gli affari governativi europei a Bruxelles, assunto per “rafforzare le relazioni esterne dell’azienda con le istituzioni dell’Ue e con i governi di tutta Europa e garantire che Microsoft sia un partner costruttivo nel sostenere i responsabili politici a Bruxelles e le capitali europee nel raggiungimento dei loro obiettivi”, secondo l’azienda.
Sta diventando un’evidenza che i giganti della tecnologia stanno cercando di espandersi per ottenere influenza attraverso l’attività di lobbying ma quello che ancora non è evidente è che puntano più alto, verso zone tradizionalmente riservate alla politica.
Mentre ci muoviamo verso una società più digitalizzata, o verso la “Quarta Rivoluzione Industriale”, come definita dal World Economic Forum, dove quasi ogni aspetto della vita quotidiana è guidato dalla tecnologia, la dipendenza dalla Big Tech è a livelli mai visti prima.
L’andamento stesso della società verso questo cammino apre la strada a queste aziende per fare pressione e ottenere politiche più vantaggiose, integrate alle economie e alle infrastrutture stesse dei Paesi nei quali si trovano.
Il ruolo dell’Unione europea e dei suoi Stati è assolutamente fondamentale per controllare questi meccanismi: questo ruolo dell’Ue è però in grave pericolo a causa del peso finanziario e dell’influenza di queste aziende, e della dipendenza da queste, dovuta a un’industria tecnologica in declino.